Una classe politica rottamata A scrutinio ancora in corso si dimettono tutti i perdenti
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LONDRA « Sono un uomo di parola». Per tremila voti si è visto sfuggire il seggio di Thanet Sud. Constatati i fatti, Nigel Farage ha chinato il capo e lasciato la politica. Le elezioni dell’8 maggio passeranno alla storia non solo perché per una volta l’elettorato ha ribaltato i sondaggi, ma anche perché ben tre leader sono usciti di scena. «Sconcerto», «shock», «sbigottimento». Di fronte ai risultati, il lessico politico britannico si è arricchito di nuovi vocaboli, ma la lunga notte dello spoglio delle schede, nonché le prime ore della mattina, hanno regalato anche uno studio ravvicinato di una difficilissima prova umana, una qualità che forma la vera essenza del gentleman: come accettare la sconfitta.
Tanti occhi rossi, qualche lacrima, diversi sguardi persi nel vuoto. La scena si è ripetuta su centinaia di palchi eretti in stadi, sale congressi, parrocchie, palestre scolastiche. Di prima mattina, infine, nel giro di un’ora, i capi di tre partiti che sino a ieri avevano dominato il panorama politico hanno rassegnato le dimissioni. Nick Clegg ha agito per primo. «Il più scosso, quello che ha accusato il colpo più duramente», hanno sancito i commentatori tv. Fresco di doccia, eppure pallido, quasi verde, Clegg ha sottolineato che non è stato sconfitto solo lui, ma tutto il liberalismo, «che oggi è più prezioso che mai». Il suo partito ha perso 47 seggi. Rimane con otto deputati. «Mi si spezza il cuore a vedere tutti i colleghi e gli amici che sono stati sconfitti». Ha ricordato i risultati ottenuti, le nozze gay, i nuovi diritti per i pensionati: «Non possiamo sapere quante vite abbiamo cambiato perché abbiamo creduto in un Paese migliore», ha sottolineato, auspicando che per quanto amaro sia metabolizzare l’avvenuto, «la storia riconoscerà al nostro partito il merito di aver contribuito a creare una Gran Bretagna più forte, più equa, più verde».
Simili le parole di Ed Miliband, che però non ha convinto i watchers . «Di persona è simpatico, a davanti alle telecamere sembra arrogante», ha detto di lui Matthew Parris, ex deputato, oggi editorialista del Times . Lo è sembrato anche nel momento della disfatta. «Mi prendo la responsabilità della sconfitta», ha detto, ma lo ha fatto con un sorriso sibillino, aggiungendo che adesso si sarebbe dedicato alla moglie Justine e ai due figli. Come a dire, tocca a voi sistemare la situazione, in bocca al lupo. A confronto, Farage è sembrato quasi simpatico, col suo viso serio e un po’ imbronciato: ha colto l’occasione di dare voce a una realtà per lui poco logica, ovvero che nel sistema britannico un partito come Ukip, pur ottenendo tre milioni e mezzo di voti, può uscire dalle elezioni con un solo deputato, mentre lo Scottish National Party, che ha collezionato solo il 5% dei consensi a livello nazionale pur stravincendo in Scozia, conquista 56 seggi. «Serve una riforma vera del sistema elettorale, adesso», ha concluso.
I tre leader sono i più noti, ma le vittime eccellenti sono diverse. Primo fra tutti, Ed Balls, sino a ieri considerato un papabile premier, stratega della politica economica laburista, sconfitto a Morley e Outwood da Andrea Jenkins, 41 anni, soprano. Attaccandosi a ogni minima possibilità di errore, ha chiesto che le schede fossero contate una seconda volta. Alla fine ha issato bandiera bianca. Sarà interessante, ora, vedere se la moglie Yvette Cooper, anche lei deputata laburista, si candiderà per la leadership. Il liberal democratico Simon Hughes è riuscito a stento a trattenere le lacrime: lascia il seggio di Bermondsey, a Londra, dopo 32 anni. Idem Vince Cable, sottosegretario per il business: nel governo sino a poche settimane fa, da oggi a spasso.
Tanti occhi rossi, qualche lacrima, diversi sguardi persi nel vuoto. La scena si è ripetuta su centinaia di palchi eretti in stadi, sale congressi, parrocchie, palestre scolastiche. Di prima mattina, infine, nel giro di un’ora, i capi di tre partiti che sino a ieri avevano dominato il panorama politico hanno rassegnato le dimissioni. Nick Clegg ha agito per primo. «Il più scosso, quello che ha accusato il colpo più duramente», hanno sancito i commentatori tv. Fresco di doccia, eppure pallido, quasi verde, Clegg ha sottolineato che non è stato sconfitto solo lui, ma tutto il liberalismo, «che oggi è più prezioso che mai». Il suo partito ha perso 47 seggi. Rimane con otto deputati. «Mi si spezza il cuore a vedere tutti i colleghi e gli amici che sono stati sconfitti». Ha ricordato i risultati ottenuti, le nozze gay, i nuovi diritti per i pensionati: «Non possiamo sapere quante vite abbiamo cambiato perché abbiamo creduto in un Paese migliore», ha sottolineato, auspicando che per quanto amaro sia metabolizzare l’avvenuto, «la storia riconoscerà al nostro partito il merito di aver contribuito a creare una Gran Bretagna più forte, più equa, più verde».
Simili le parole di Ed Miliband, che però non ha convinto i watchers . «Di persona è simpatico, a davanti alle telecamere sembra arrogante», ha detto di lui Matthew Parris, ex deputato, oggi editorialista del Times . Lo è sembrato anche nel momento della disfatta. «Mi prendo la responsabilità della sconfitta», ha detto, ma lo ha fatto con un sorriso sibillino, aggiungendo che adesso si sarebbe dedicato alla moglie Justine e ai due figli. Come a dire, tocca a voi sistemare la situazione, in bocca al lupo. A confronto, Farage è sembrato quasi simpatico, col suo viso serio e un po’ imbronciato: ha colto l’occasione di dare voce a una realtà per lui poco logica, ovvero che nel sistema britannico un partito come Ukip, pur ottenendo tre milioni e mezzo di voti, può uscire dalle elezioni con un solo deputato, mentre lo Scottish National Party, che ha collezionato solo il 5% dei consensi a livello nazionale pur stravincendo in Scozia, conquista 56 seggi. «Serve una riforma vera del sistema elettorale, adesso», ha concluso.
I tre leader sono i più noti, ma le vittime eccellenti sono diverse. Primo fra tutti, Ed Balls, sino a ieri considerato un papabile premier, stratega della politica economica laburista, sconfitto a Morley e Outwood da Andrea Jenkins, 41 anni, soprano. Attaccandosi a ogni minima possibilità di errore, ha chiesto che le schede fossero contate una seconda volta. Alla fine ha issato bandiera bianca. Sarà interessante, ora, vedere se la moglie Yvette Cooper, anche lei deputata laburista, si candiderà per la leadership. Il liberal democratico Simon Hughes è riuscito a stento a trattenere le lacrime: lascia il seggio di Bermondsey, a Londra, dopo 32 anni. Idem Vince Cable, sottosegretario per il business: nel governo sino a poche settimane fa, da oggi a spasso.
Paola De Carolis
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