Thyssenkrupp, pene ridotte. Esplode la rabbia dei parenti
«A ogni sentenza, questa è la quarta, tolgono un pezzettino di pena». Antonio Boccuzzi, unico operaio sopravvissuto alle fiamme della Thyssenkrupp, commenta così il verdetto della Corte d’assise d’appello di Torino, che ieri ha ridotto, seppur lievemente, le condanne dei sei imputati per il rogo che nel dicembre 2007 costò la vita a sette operai.
La Corte presieduta da Piera Caprioglio, chiamata dalla Cassazione a rideterminare le pene, ha condannato l’amministratore delegato della multinazionale tedesca Harald Espenhahn a 9 anni e 8 mesi di carcere per omicidio colposo plurimo aggravato, invece dei 10 anni comminati dalla precedente sentenza d’appello. Condannati invece a 6 anni e 10 mesi gli ex dirigenti Gerald Priegnitz e Marco Pucci (erano stati 7) e 7 anni e 2 mesi (invece di 8 e mezzo) per l’allora direttore dello stabilimento, Raffaele Salerno. Pena di 7 anni e 6 mesi per Daniele Moroni (erano 9 anni) e 6 anni e 8 mesi (invece di 8), per l’allora responsabile della sicurezza, Cosimo Cafueri.
Alla fine della lettura della sentenza, ci sono state reazioni di rabbia e dolore da parte dei parenti delle vittime. «Vergognatevi» hanno urlato verso gli avvocati degli imputati. «Vogliamo sapere quando questa gente andrà in galera. Loro sono liberi e i nostri cari al cimitero». Laura Rodinò, sorella di Rosario, morto a 26 anni, ha aggiunto: «Il rischio è che piano piano le pene non ci saranno più». Si sfoga Nino Santino, padre di Bruno, anche lui di 26 anni: «Fabrizio Corona è in galera per due foto e loro ancora a piede libero». Antonio Boccuzzi, oggi parlamentare nelle file del Pd, ha poi precisato: «Ci chiediamo perché l’omicidio volontario con il dolo eventuale (contestato dal pm Raffaele Guariniello, ndr) sia un reato che non può essere riconosciuto in questo processo, come invece lo è stato in altri». La sentenza di primo grado aveva visto la condanna di Espenhahn a 16 anni e mezzo di carcere, in quanto secondo i giudici il manager aveva consapevolmente esposto gli operai dello stabilimento al rischio concreto di infortuni mortali, non avendo più volutamente investito in sicurezza per una fabbrica destinata alla chiusura.
Era stato un verdetto storico, perché per la prima volta veniva configurato un reato doloso in una sentenza relativa a morti sul lavoro. Il verdetto fu poi ridimensionato in appello, si passò da volontario a colposo. Successivamente la Suprema Corte, confermando la responsabilità degli imputati, aveva, però, trovato degli errori nei calcoli dei giudici. Era necessario – spiegarono – escludere un’aggravante e applicare il cosiddetto «concorso formale» fra i reati di omicidio colposo e di incendio.
Il lungo processo Thyssen, iniziato nel gennaio del 2009, non è ancora concluso. Ora, per i familiari, c’è la paura di un nuovo e delicato passaggio in Cassazione. La parola fine non è stata pronunciata. Si dovranno, infatti, attendere i 60 giorni per le motivazioni e poi potrebbe esserci un nuovo ricorso alla Suprema Corte. Scelta che l’avvocato Ezio Audisio, legale dell’ex amministratore delegato della Thyssenkrupp Espenhahn, non esclude affatto. «Se ci saranno gli estremi, faremo ricorso — ha spiegato Audisio, dichiarandosi insoddisfatto– Noi avevamo chiesto che si tenesse conto dell’effettivo grado di responsabilità nell’accaduto, del suo essere un manager sempre attento alla sicurezza e incensurato. E dell’attenuante del risarcimento del danno. Ci aspettavamo una riduzione più consistente, purtroppo invece è quasi impercettibile».
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