by redazione | 9 Maggio 2015 11:20
In queste ultime settimane sembra di assistere a una primavera per il reddito garantito, minimo, di cittadinanza, di dignità, che dir si voglia. Qui in Italia, l’unico Paese della «vecchia Europa», insieme con la Grecia, che non ha questa misura universalistica nel proprio sistema di Welfare. E nonostante la stessa (fantomatica?) Europa ce lo chieda dal 1992, con la Raccomandazione 92/441/CEE.
Così oggi ci saranno i 19 chilometri di marcia Perugia-Assisi per il reddito di cittadinanza, promossa dal Movimento 5 Stelle, in sostegno del loro progetto di legge, incardinato al Senato da qualche mese, insieme con la proposta sul reddito minimo garantito presentata da Sel. Mentre da giorni sul sito del leader pentastellare Beppe Grillo c’è una «marcia virtuale», sempre per il reddito di cittadinanza, che curiosamente riprende la grafica usata oramai un decennio fa per una MayDay parade. Verrebbe da scomodare Giambattista Vico e Friedrich Nietzsche, piuttosto che la tanto sbandierata innovazione creativa. O forse il Karl Marx della ripetizione della storia come farsa. Rischiando di sprofondare tutti nel ridicolo.
Sempre notizia di ieri: l’area riformista del Pd si compatta nella proposta della deputata Pd Enza Bruno Bossio per un «reddito minimo: una scelta riformista contro la povertà», come riportava il manifesto dell’affollato incontro svoltosi ieri a Cosenza alla presenza, tra gli altri, del Ministro del lavoro Giuliano Poletti. Ma poi si scopre sulle pagine di La Repubblica on line che si è parlato di un «sussidio universale per chi perde il lavoro»: una proposta che compatta l’intero Pd, partito di governo. Si spera nei prossimi giorni si riescano ad avere maggiori chiarimenti. E qui si è costretti a tornare su questioni piuttosto note, ma forse non chiarissime: anche a chi ci governa.
Sussidio universale di disoccupazione e reddito minimo garantito sono due misure diverse, che si completano in un moderno sistema di Welfare universale, ma che non possono sostituirsi o confondere. Con il primo si prevede un sostegno monetario temporaneo per tutte le persone che perdono il lavoro, indipendentemente dal tipo di contratto di lavoro precedente (dipendente, autonomo, temporaneo, a tempo indeterminato, etc.), cui si aggiunge una serie di altri benefits. Con il secondo, il reddito minimo garantito, si sostengono quelle persone che non arrivano a una determinata soglia di reddito, quantificata dalle stesse istituzioni europee nel 60% del reddito mediano di ciascun Paese, al quale normalmente si affiancano altri benefits.
È una misura volta a tutelare le persone non solo dalla mancanza di una retribuzione, ma anche dai ricatti del lavoro povero (Working Poors), in modo tale che ciascuno sia nelle condizioni di poter condurre un’esistenza degna, libera e attiva, come nelle intenzioni del celebre rapporto di Lord Beveridge del 1942: non a caso a fondamento del Welfare anglosassone che ruota intorno agli strumenti del sussidio universale di disoccupazione (comunemente definito The Dole, le cui origini si perdono negli anni Venti) e dell’Income support, per le persone che hanno un reddito basso. Detto per inciso, ricordando una storia anche questa assai celebre, ma che potrebbe dare una spinta punk all’attuale governo del Pd: tra il 1976 e il 1977 i celebri The Clash di Joe Strummer si formarono acquistando i primi strumenti e amplificatori proprio grazie a questi sussidi.
Tornando al nostro Paese c’è per fortuna un ampio fronte di società e di forze politiche che si compatta intorno alla campagna «reddito di dignità» promossa da Libera e sostenuta dal Basic Income Network – Italia e dal Cilap, in favore di una legge sul reddito minimo o di cittadinanza che si basi su alcuni, fondamentali, criteri: individualità dell’erogazione per tutti i residenti, sufficienza della misura, congruità dell’eventuale offerta lavorativa. Proprio di questo si parlerà il pomeriggio del 13 maggio nella sede della Fondazione Basso, in via del Governo Vecchio a Roma, sotto la promozione del Bin Italia, con la partecipazione tra gli altri di Luigi Ferrajoli e Stefano Rodotà, oltre che dei parlamentari Nunzia Catalfo (M5S), Ileana Piazzoni (Pd), Antonio Placido (Sel) per rilanciare le ragioni del reddito e promuovere un’intesa parlamentare maggioritaria intorno alle proposte di legge attualmente in discussione al Senato.
Difatti siamo a un passaggio parlamentare forse fondamentale, qualora davvero ci fosse questa volontà. Così i ravveduti parlamentari «riformisti» del Pd potrebbero incontrare Annamaria Parente. Non dovrebbe risultare difficile, essendo Parente una senatrice sempre Pd, incaricata relatrice del progetto di legge che unifica le proposte di legge su reddito minimo garantito (Sel) e reddito di cittadinanza (M5s) attualmente nella Commissione lavoro del Senato. Ce la faranno ad incontrarsi? Stando nello stesso partito e Parlamento non dovrebbe risultare così ostico.
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