Siria, il mondo guarda altrove mentre Assad e l’Isis fanno strage

by redazione | 11 Maggio 2015 10:28

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In Siria si continua a soffrire e morire. Dalle regioni lungo il confine turco, alla città martire di Aleppo, presso l’enclave alawita leale al regime di Bashar Assad tra Latakia e Tartus, attorno a Damasco, sino alle zone confinarie con la Giordania: nulla e nessuno è risparmiato. L’attenzione dei media internazionali pare essersi come affievolita di fronte alle continue, ripetitive cronache di massacri, torture, violenze. Ma non parlarne non significa che l’orrore non avvenga, tutt’altro: a oltre quattro anni dall’inizio della guerra civile, la situazione non fa che peggiorare. I dati approssimativi dei morti superano quota 220.000, gli sfollati sono oltre 15 milioni, il Paese è prostrato, sempre più brutalizzato.
A ricordarci il quotidiano del «girone infernale in Siria» è l’ultimo rapporto di Amnesty International, pubblicato il 4 maggio, il giorno prima dell’avvio della nuova tornata di contatti a Ginevra volti a cercare di lenire il conflitto, che però sembra già arenata. Il documento avanza accuse specifiche contro le tattiche repressive utilizzate dall’esercito di Bashar Assad nella regione di Aleppo. In particolare, torna a definire «crimine di guerra» il continuo utilizzo dei «barili bomba» lanciati dagli elicotteri governativi sui quartieri civili. Pare che nel solo 2014 abbiano causato la morte di oltre 3.000 civili e più di 11.000 dal 2011.
La strategia del governo è poco mutata rispetto ai mesi iniziali delle rivolte: creare il panico nelle zone controllate dai nemici, paralizzare la vita dei civili, le scuole, i mercati, distruggere gli ospedali, uccidere medici e infermieri, bloccare le infrastrutture, sino a spingere la popolazione a desiderare la restaurazione della dittatura pur di farla finita con violenza e caos. Dichiara Philip Luther, responsabile di Amnesty per il Medio Oriente, riferendosi a queste armi tanto brutali quanto primitive (grossi cilindri ripieni di esplosivo e frammenti metallici per rendere più letale lo scoppio): «Le atrocità dilaganti, soprattutto raid aerei feroci e disumani sulle zone residenziali, hanno reso la vita sempre più insopportabile per la popolazione». Per contro, i mortai utilizzati in modo «poco accurato» dai ribelli l’anno scorso avrebbero causato la morte di almeno 600 persone nei quartieri filoregime di Aleppo.
A puntare il dito contro Assad e i suoi soldati sono anche gli ispettori internazionali della Organization for the Prohibition of Chemical Weapons (Opcw), l’organismo addetto al monitoraggio delle armi chimiche, i quali sostengono di avere nuove prove del recente utilizzo di gas Sarin e nervino modello Vx da parte dei filo-governativi. Dopo le accuse per le stragi «non convenzionali» nel 2013 e le intese negoziate anche tra Washington e Mosca l’anno scorso, il presidente siriano aveva accettato di far distruggere le 1.300 tonnellate di agenti chimici conservate nei suoi arsenali. Ma nuovi massacri lo riportano al tavolo degli accusati. «Abbiamo forti indicazioni che a Damasco ci abbiano mentito» accusano i responsabili dello Opcw.
Tutto ciò mentre i combattimenti si acuiscono. Dopo le vittorie riportate dai lealisti ad inizio anno, negli ultimi mesi brigate ribelli hanno ripreso l’iniziativa. Loro punto di forza sono le recenti intese tra lo Stato Islamico (Isis) e i qaedisti di Al Nusra. In passato si erano fatti una guerra feroce. Ora però paiono collaborare, specie nella regione di Damasco attorno al campo palestinese di Yarmouk e nel nord, dove hanno operato assieme nella forte offensiva verso la zona di Latakia. A gennaio, dopo la sconfitta di Isis attorno all’enclave curda di Kobane (dove l’intervento dei caccia Usa è stato determinante nel massacrare il fior fiore dei volontari stranieri del Califfato), pareva che i soldati di Assad potessero riprendere facilmente il controllo di Aleppo. Ma così non è stato. Al contrario, le brigate ribelli hanno serrato i ranghi. Dall’Iraq sono giunti rinforzi di Isis. E in marzo Arabia Saudita, Turchia e Qatar hanno scelto di coordinare i loro aiuti al fronte sunnita pur di far causa comune contro gli alleati dell’Iran, con Assad e milizie dell’Hezbollah sciita libanese in testa.
Riemerge così l’elemento più caratteristico che segna il conflitto sia in Siria sia in Iraq: la crescita dell’interferenza militare delle potenze regionali. Gli americani non sono pronti ad intervenire via terra. È delle ultime ore il loro annuncio di aver iniziato l’addestramento di 90 ribelli considerati «affidabili», che dovranno concentrarsi contro Isis. Una mossa che genera polemiche tra le stesse brigate ribelli. Siria e Iraq diventano allora il campo di battaglia «per conto di terzi» segnato da tensioni profonde, che vanno ben oltre il contesto locale. È allora comprensibile l’annuncio bellicoso una settimana fa del leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, che ha aizzato le sue brigate contro i gruppi di Al Nusra e Isis sulle montagne di Qalamoun, nella parte siriana del massiccio lungo il confine del Libano. Un altro scontro sanguinoso sta consumandosi in queste ore nella cittadina di Jis al Shughour, presso Idlib, una trentina di chilometri a nord-ovest di Aleppo, dove da settimane i ribelli sunniti circondano alcune centinaia di soldati fedeli ad Assad asserragliati nel quartiere dell’ospedale. Per l’Osservatorio siriano dei diritti umani, nelle ultime 24 ore l’aviazione lealista avrebbe effettuato almeno 22 raid sulla zona.
Lorenzo Cremonesi
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