Scuola non per tutti e tutte

Scuola non per tutti e tutte

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Oggi la scuola riem­pie l’Italia. Ne riem­pie le strade, paci­fi­che e colo­rate, e vuole rap­pre­sen­tare l’orgoglio della scuola pub­blica, la scuola di tutte e tutti. Non ci lasce­remo fer­mare — sostiene Renzi — da chi non vuole cam­biare. Non dice che la scuola è stata sot­to­po­sta, dal 2008, a una cura da cavallo. Sot­tratte risorse per 8 miliardi e mezzo, tagliati circa 80.000 posti di docenza e 50.000 di per­so­nale Ata, impo­ve­rita nel suo pro­getto cul­tu­rale. E se ha fun­zio­nato lo si deve al popolo indo­mito di inse­gnanti e diri­genti che ogni giorno hanno di fronte nelle classi chi il cam­bia­mento lo rappresenta.
È un popolo che con­ti­nua ad essere più avanti di chi lo governa.

Oggi, in primo luogo, ser­vi­rebbe resti­tuire a quella scuola il mal­tolto: in ter­mini di risorse umane e finan­zia­rie. Se è vero che que­sto governo vuole assu­mere 100.000 pre­cari deve farlo subito e con decreto. Già oggi è tardi per dare il tempo alla strut­tura ammi­ni­stra­tiva per pre­di­sporre le assun­zioni a set­tem­bre. Que­sto chiede con forza la mani­fe­sta­zione di oggi, que­sto chie­dono i sin­da­cati che l’ hanno promossa.

L’accanimento del pre­mier e anche della Mini­stra con­tro chi dis­sente nasconde il ten­ta­tivo di spo­stare la discus­sione dal vero pro­blema. Quella scelta auto­ri­ta­ria che si nasconde die­tro la volontà di affi­dare ai diri­genti sco­la­stici il governo com­ples­sivo del sistema. Il ten­ta­tivo di ripri­sti­nare un ordine, una catena di comando gerar­chiz­zata e buro­cra­tica, una tra­smis­sione ver­ti­cale della volontà poli­tica del governo sul come e in che dire­zione debba andare la scuola. C’è poi un altro rischio assai pesante in que­sto modello. La scelta degli inse­gnanti da parte dei pre­sidi alla lunga pro­dur­rebbe gerar­chie inac­cet­ta­bili tra le scuole: scuole di serie A e di serie B, per i ric­chi e per i poveri, per i cen­tri e per le peri­fe­rie. Appro­fon­dendo un fat­tore di crisi, quello delle dise­gua­glianze, che invece biso­gna sanare, per tor­nare alla scuola della Costituzione.

Il cuore di que­sta riforma è que­sto e non è emen­da­bile. Una scuola senza soldi e ora anche senza libertà di pen­siero. Per­ché anche l’osservatore più filo­ren­zi­sta sa, e ne ha par­lato, che affi­dare la scelta degli inse­gnanti a un mec­ca­ni­smo gerar­chico e auto­ri­ta­rio vuol dire inflig­gere un colpo duris­simo a ogni capa­cità cri­tica, alla libertà di inse­gna­mento, alla ricerca con­ti­nua di modelli peda­go­gici ed edu­ca­tivi che fanno della scuola ita­liana un modello di rife­ri­mento inter­na­zio­nale. Come può fun­zio­nare un sistema così rigido e così fran­tu­mato? Dove fini­rebbe quel mondo com­plesso e plu­rale che della sua com­ples­sità ha fatto la ric­chezza del paese? Cosa resta dell’autonomia se non rap­pre­senta la respon­sa­bi­liz­za­zione di tutti i sog­getti della vita della scuola e la scom­messa di un governo condiviso?

Senza dire delle tre­dici dele­ghe attra­verso le quali, senza con­trad­dit­to­rio e con decreti legi­sla­tivi ela­bo­rati dal governo, si cam­bierà defi­ni­ti­va­mente la fisio­no­mia della scuola ita­liana, dalla for­ma­zione degli inse­gnanti, alle «moda­lità di assun­zione come in altri set­tori del pub­blico impiego» ( Jobs act anche nella scuola?), alla revi­sione delle atti­vità di soste­gno, già assur­da­mente ridotte. Si tor­nerà indie­tro rispetto a una nor­ma­tiva tra le più avan­zate d’ Europa? E sono solo alcuni esempi.

La piazza di oggi è una piazza immensa quanto il cuore della nostra scuola, quanto le sue mille voci. Renzi a Bolo­gna, nel pieno di una con­te­sta­zione, ha detto che qual­cosa si può cam­biare. L’ampiezza della mani­fe­sta­zione di oggi testi­mo­nia che si deve cam­biare, profondamente.



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