Scontri in Mace­do­nia: le micce accese dei Balcani

by redazione | 12 Maggio 2015 8:31

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Si riac­cen­dono gli scon­tri armati nei Bal­cani, in Mace­do­nia, con retro­scena allar­manti. 70–80 uomini armati — già a fine aprile c’era stato un attacco di mili­ziani con divise «nere dell’Uck» a Gosince e a dicem­bre 2014 a Tetovo — ha attac­cato sabato mat­tina con armi auto­ma­ti­che e bombe a mano sedi della poli­zia a Kuma­novo, a 40 km dalla capi­tale Sko­pje. Epi­cen­tro il quar­tiere peri­fe­rico di Divo Nase­lje, abi­tato in pre­va­lenza da macedoni-albanesi, da dove in tanti sono fug­giti durante gli scon­tri. Sono inter­ve­nute mas­sic­cia­mente le forze spe­ciali mace­doni e la bat­ta­glia è durata 30 ore. Alla fine sul campo sono rima­sti 8 poli­ziotti e 14 «ter­ro­ri­sti», 37 agenti feriti, senza vit­time civili. Sareb­bero 27 gli arresti.
Le auto­rità di Sko­pje accu­sano for­ma­zioni della guer­ri­glia alba­nese pro­ve­nienti dal vicino Kosovo di essere respon­sa­bili dell’attacco armato. La con­ferma è venuta anche da un docu­mento dif­fuso dai media mace­doni, col quale gruppi dell’indipendentismo alba­nese, com­preso l’Uck (pro­ta­go­ni­sta del con­flitto armato con la Ser­bia a fine anni Novanta e alleato della Nato nella guerra «uma­ni­ta­ria» del 1999) par­lano di «ini­zio» di un’offensiva per l’instaurazione della «Repub­blica di Illiria».

«La guerra vera e pro­pria — hanno detto — comin­cerà il 12 mag­gio». Il pre­mier mace­done Nikola Grue­v­ski ha rin­gra­ziato ieri le forze di poli­zia per avere «neu­tra­liz­zato un peri­co­loso gruppo armato di una qua­ran­tina di uomini ben adde­strati, che hanno par­te­ci­pato ad altre ope­ra­zioni armate nella regione e in Medio Oriente», uno dei «gruppi ter­ro­ri­sti più peri­co­losi nei Bal­cani voleva attac­care isti­tu­zioni sta­tali, cen­tri com­mer­ciali e eventi spor­tivi, per desta­bi­liz­zare la Mace­do­nia», ha aggiunto esal­tando le forze di poli­zia «che hanno impe­dito forse l’uccisione di 8 mila persone».

La bat­ta­glia di Kuma­novo arriva in un momento di crisi poli­tica acuta in Mace­do­nia — che ha due par­titi alba­nesi, il Dui e il Dpa spesso pre­senti nelle coa­li­zioni di governo e che ieri hanno fatto appello alla calma — con pro­te­ste quo­ti­diane con­tro il governo nazionalista-conservatore e con l’opposizione social­de­mo­cra­tica che chiede le dimis­sioni del pre­mier Grue­v­ski, accu­sato di aver ordi­nato inter­cet­ta­zioni su oltre 20 mila cittadini.

Ieri la Nato ha chie­sto l’apertura di un’inchiesta sui fatti di Kuma­novo — ma forse potrebbe chie­dere a Camp Bond­steel, la più grande nuova base mili­tare e d’intelligence Usa d’Europa che si trova in Kosovo, a pochi km da Kuma­novo — e «forte pre­oc­cu­pa­zione» è stata espressa da Osce (con il mini­stro degli esteri serbo Ivica Dacic pre­si­dente di turno), Ue e dai paesi più vicini, Ser­bia e Kosovo (il primo non rico­no­sce il secondo che si è auto­pro­cla­mato Stato facendo seces­sione uni­la­te­rale pro­prio dalla Ser­bia). Tanto per ricor­dare che l’instabilità dei Bal­cani resta irri­solta nono­stante la guerra Nato di 16 anni fa.

Qual è il retro­scena degli scon­tri di Kuma­novo? Viene da chie­der­selo per­ché nei Bal­cani la verità è almeno dop­pia, anche alla luce del fatto che alcuni abi­tanti alba­nesi del quar­tiere di Divo Nase­lje smen­ti­scono le auto­rità dichia­rando che «lì non c’era nes­sun ter­ro­ri­sta». La popo­la­zione della Mace­do­nia è di circa due milioni di abi­tanti e per il 25% di etnia alba­nese, inci­denti con gli slavo-macedoni e con i serbi — com­po­nente del Paese — sono frequenti.

Ma nel 2001 la Mace­do­nia fu scon­volta dalla guerra dei sepa­ra­ti­sti alba­nesi dell’Uckm; erano  appog­giati dagli indi­pen­den­ti­sti del Kosovo (Uck) e ci furono più di mille morti. Quel con­flitto, che finì con la dif­fi­cile pace di Ohrid, deri­vava dal Kosovo, modello di coin­vol­gi­mento armato inter­na­zio­nale e chia­mava in causa il nazio­na­li­smo alba­nese nell’area. Per­ché Uck non vuol dire Eser­cito di libe­ra­zione del Kosovo ma è l’acronimo alba­nese di Ush­tri­mje Clim­tare Kom­be­tar, vale a dire Eser­cito di libe­ra­zione nazio­nale, di tutti gli alba­nesi; la cui lea­der­ship non è nata in Kosovo ma a Tetovo, seconda città mace­done con tanto di Uni­ver­sità indi­pen­dente. È l’irredentismo alba­nese che ritro­viamo anche nel Pre­cevo, nel sud della Serbia.

Certo è già acca­duto in pas­sato che le auto­rità di Sko­pje si siano inven­tate pre­senze ter­ro­ri­ste con ope­ra­zioni di poli­zia che hanno fatto vit­time che altro non erano che fami­glie mala­vi­tose. Sta­volta appare più cre­di­bile invece l’infiltrazione dal Kosovo di mili­ziani nazio­na­li­sti, piut­to­sto che il «solito» allarme dello jiha­di­smo pur pre­sente nei Bal­cani. Del resto dei due qui, nel buco del culo del sud-est euro­peo, non si sa dav­vero chi sia più peri­co­loso. Quali forze muo­vono ancora il nazio­na­li­smo albanese?

Intanto, irre­spon­sa­bil­mente il pre­mier di Tirana Edi Rama che solo un mese fa ha dichia­rato: «L’unificazione degli alba­nesi di Alba­nia e Kosovo è qual­cosa di ine­vi­ta­bile e indi­scu­ti­bile». Poi c’è Hashim Thaqi, ex lea­der indi­scusso dell’Uck, ex primo mini­stro del Kosovo, ora sem­pre nelle fila del governo: l’Ue (anche se nel caos della mis­sione Eulex), il Con­si­glio d’Europa, l’ex pro­cu­ra­tore dell’Aja Carla Del Ponte, l’Onu e set­tori dell’Amministrazione Usa, chie­dono che sia pro­ces­sato insieme ai lea­der dell’Uck per cri­mini di guerra, in par­ti­co­lare per un delitto orrendo sem­pre meno occul­ta­bile: l’avere orga­niz­zato un sistema di espianto di organi a un cen­ti­naio di civili serbi seque­strati per finan­ziare la guer­ri­glia. Lo scon­tro è su chi pro­ces­serà, se lo pro­ces­se­ranno, Hashim Thaqi: se l’Onu come chie­dono Carla del Ponte e Con­si­glio d’Europa oppure l’improbabile Eulex e la scre­di­tata magi­stra­tura locale.

Se insomma viene il sospetto che a Kuma­novo si sia rea­liz­zato un agguato agli «attesi» mili­ziani illi­rici da parte delle forze gover­na­tive, dall’altro è forte la con­vin­zione che Hashim Thaqi, il vero mano­vra­tore delle mili­zie alba­nesi armate nell’area, anche lui per allon­ta­nare da sé il tri­bu­nale che lo inse­gue, ricat­tando Usa, Nato e Ue — solo tre set­ti­mane fa Moghe­rini era a Pri­stina senza risol­vere alcun­ché — abbia mosso la «pedina Kumanovo».

Pro­prio lì infatti nel giu­gno del ‘99 venne fir­mata la pace tra Nato e Ser­bia. E pro­prio men­tre Bel­grado è sot­to­po­sta di nuovo al dik­tat euro­peo: non entrate nella Ue se non rico­no­scete il Kosovo come stato indipendente.

E pen­sare che anche cin­que paesi euro­pei (Gre­cia, Spa­gna, Roma­nia, Slo­vac­chia e Cipro) non lo rico­no­scono. Il pre­si­dente serbo Niko­lic sabato scorso ha dichia­rato che «solo gli schiavi potreb­bero sot­to­stare a que­sto ricatto». Le micce sono tutte accese. Com­presa la grande migra­zione di gio­vani alba­nesi dal Kosovo nell’ordine di 20mila al mese dall’inizio dell’anno.

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