Ritrovato il bar­cone della strage

Ritrovato il bar­cone della strage

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Il relitto del bar­cone della morte che por­tava cen­ti­naia di pro­fu­ghi affon­dato nel Canale di Sici­lia il 18 aprile scorso è stato ritro­vato ieri 85 miglia a Nord-est dalle coste libi­che dalla marina mili­tare ita­liana. L’imbarcazione si tro­ve­rebbe a una pro­fon­dità di circa 375 metri. Una volta rile­vato il moto-pesca affon­dato, i cac­cia­mine Gaeta e Vie­ste sta­reb­bero pro­ce­dendo al suo recu­pero. È pos­si­bile che nella zona ci siano anche cen­ti­naia di cada­veri dei dispersi nel naufragio.
Il bar­cone, forse spe­ro­nato da una nave bat­tente ban­diera por­to­ghese e rove­scia­tosi durante il ten­ta­tivo di pre­stare un primo soc­corso ai migranti, avrebbe la lun­ghezza di appena 21 metri. Secondo la testi­mo­nianza dei 28 super­stiti del nau­fra­gio ai magi­strati cata­nesi che si occu­pano del caso, le vit­time sareb­bero state sti­pate nella stiva per mano dei con­trab­ban­dieri, sal­pati dal porto libico di Sabrata. La pro­cura di Cata­nia ha secre­tato imma­gini e risul­tanze sottomarine.

Ma ora pro­prio sul busi­ness dei migranti è par­tita l’offensiva di Tri­poli. Sono arri­vati prov­ve­di­menti senza pre­ce­denti per dimo­strare alla comu­nità inter­na­zio­nale chi comanda in Libia. Come al solito, tutto sulle spalle di poveri dispe­rati che scap­pano da gravi con­flitti già costretti a stare agli arre­sti per mesi nei fati­scenti bun­ker libici.

Inca­pace di pat­tu­gliare le coste occi­den­tali di Tri­poli, la Guarda costiera che risponde al par­la­mento deca­duto ma com­bat­tivo di Tri­poli ha dispo­sto ieri l’arresto di 600 migranti, anche donne e bam­bini, pro­prio nel porto di Sabrata, città a ovest della capi­tale libica. È para­dos­sale che ven­gano arre­stati i migranti e si lascino a piede libero sca­fi­sti, con­trab­ban­dieri e uomini senza scru­poli della mafia locale che fanno affari con il busi­ness delle migra­zioni, molto spesso per conto del gol­pi­sta Kha­lifa Haf­tar, epi­gono del pre­si­dente egi­ziano al-Sisi, appog­giato dal par­la­mento di Tobruk, che sta facendo di tutto per inne­scare un inter­vento armato in Libia. Che la noti­zia fac­cia comodo alla pro­pa­ganda tri­po­lina lo con­ferma anche la fonte citata dai media locali, il por­ta­voce del Dipar­ti­mento per l’immigrazione della poli­zia, Moha­med Al-Ghawail.

Ancora più insen­sato del gra­vis­simo arre­sto di migranti, appare l’altro prov­ve­di­mento che cor­ro­bora la sen­sa­zione che l’offensiva di Tri­poli serva solo agli isla­mi­sti mode­rati, appog­giati dalle mili­zie di Misu­rata e da una parte con­si­stente dell’esercito libico, per accre­di­tarsi agli occhi della comu­nità inter­na­zio­nale, rilut­tante a rico­no­scere il par­la­mento tar­gato Fra­tel­lanza musul­mana libica. Eppure anche il mini­stro degli Esteri ita­liano, Paolo Gen­ti­loni sem­bra cre­dere alle inten­zioni di Tri­poli auspi­cando «un coin­vol­gi­mento delle diverse auto­rità libi­che» (inclusi gli isla­mi­sti) per com­bat­tere il traf­fico di migranti.

Il governo del pre­mier dimis­sio­na­rio Omar al-Hassi aveva annun­ciato un piano in 5 punti che include il pat­tu­glia­mento armato dei punti di par­tenza dei pro­fu­ghi verso l’Italia. È vero che nella nota della poli­zia libica si fa anche rife­ri­mento al miglio­ra­mento dei fati­scenti cen­tri di deten­zione e all’intenzione di depor­tare i migranti nei paesi di ori­gine, dove ver­reb­bero arre­stati come diser­tori (è il caso eri­treo), o affron­te­reb­bero la guerra che dila­nia Mali, Soma­lia e Siria. Que­ste parole reste­ranno sicu­ra­mente sulla carta men­tre i pat­tu­glia­menti anti-migranti non potranno far altro che ren­dere ancora più tri­ste la sorte di per­sone già pro­vate da con­flitti e mesi di viag­gio in con­di­zioni disperate.

A chia­rire che l’offensiva tri­po­lina serva ad aggan­ciare l’Unione euro­pea ed evi­tare attac­chi mirati, è la richie­sta di coo­pe­ra­zione nella lotta all’immigrazione arri­vata ieri a Bru­xel­les e par­tita da Tri­poli. «È la nostra prio­rità», si legge nel comu­ni­cato desti­nato all’Ue ed ela­bo­rato a mar­gine di un incon­tro tra le muni­ci­pa­lità costiere libi­che. Le ammi­ni­stra­zioni locali avreb­bero chie­sto la crea­zione di una camera ope­ra­tiva di coor­di­na­mento per gestire i flussi migratori.

Nell’anarchia libica e nono­stante l’incongruenza di arre­sti e pat­tu­glia­menti som­mari, le pro­po­ste di Tri­poli risuo­nano come l’ultima chance per evi­tare un nuovo inter­vento inter­na­zio­nale in Libia e dare nuovo slan­cio al nego­ziato tra le parti, are­na­tosi sulla bozza nego­ziale che avrebbe asse­gnato a Tobruk la sede del par­la­mento. I filo-Haftar hanno fatto sapere ieri che l’unica solu­zione è tor­nare agli accordi siglati con l’Italia al tempo di Ghed­dafi. Eppure anche allora i migranti erano vit­time che anzi­ché morire in mare, cade­vano per stenti nel deserto libico o nei cen­tri di detenzione.

Dopo il golpe dello stesso anno, i governi libici hanno smesso di coo­pe­rare con le ope­ra­zioni Mare Nostrum prima e Tri­ton poi. È da lì che forse biso­gna ripar­tire prima di stig­ma­tiz­zare i pro­fu­ghi con arre­sti e per­se­cu­zioni sommarie.


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