Red­dito, vicini solo a parole

by redazione | 12 Maggio 2015 8:45

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A parole non siamo mai stati tanto vicini al varo del red­dito di cit­ta­di­nanza. Le dichia­ra­zioni e le pro­po­ste di M5s, di Sel e delle varie anime del Pd — ieri anche Ste­fano Fas­sina soste­neva che «ci sono le con­di­zioni per tro­vare unità sul tema» — sono tutte favo­re­voli per varare «una misura di con­tra­sto alla povertà che in Europa manca solo da noi e in Gre­cia», come ora tutti si affret­tano a ricor­dare. Nella realtà della poli­tica però le cose sono più com­pli­cate. Ed è dif­fi­cile che l’auspicio del vice­pre­si­dente della Camera M5s Luigi Di Maio — «pro­viamo a farla diven­tare legge in un mese» — si rea­lizzi. Esi­stono infatti tanti stru­menti simili con tanti nomi diversi che come pic­coli ruscelli dovreb­bero unirsi nell’unico fiume del red­dito minimo.

A parte il pro­blema nomi­na­li­stico — red­dito di cit­ta­di­nanza, red­dito minimo o «red­dito di inse­ri­mento», come lo chiama Ste­fano Fas­sina — la lotta alla povertà in Ita­lia infatti è stata com­bat­tuta con troppi stru­menti poco effi­caci e in com­pe­ti­zione fra loro. In più allo stu­dio ve ne sono di nuovi. Se con il suo primo decreto il Jobs act ha già ridi­se­gnato l’Aspi (assi­cu­ra­zione sociale per l’impiego) della For­nero con la scia­rada di sigle Naspi, Dis Coll e Asdi per chi perde il lavoro, tra le dele­ghe ancora da pre­sen­tare ce n’è una che apre al red­dito di cit­ta­di­nanza. Ma i tec­nici e i pro­fes­sori che la stanno ideando per il mini­stero del Lavoro imma­gi­nano la misura come una forma di inte­gra­zione al red­dito del nucleo fami­liare; non di un asse­gno di 780 euro per tutti, come vuole il M5s.

La donna che al Senato sarà chia­mata a fare sin­tesi della tante pro­po­ste già pre­sen­tate è la napo­le­tana Anna­ma­ria Parente. Un pas­sato in Cisl (viene dal feudo delle Poste), un pre­sente da ren­ziana. Già rela­trice sulla delega del Jobs act, ora si ritrova la patata bol­lente. «In com­mis­sione con i com­po­nenti del M5s il clima è molto posi­tivo — rac­conta — stiamo con­clu­dendo le audi­zioni, in gran parte volute da loro. Ma da qui a dire che nel giro di un mese potremo varare il red­dito di cit­ta­di­nanza come lo imma­gi­nano loro, credo ci sia molta fantapolitica».

«Al momento oltre alle misure di soste­gno al red­dito ci sono quelle di con­tra­sto alla povertà, come il Sia (il soste­gno all’inclusione attiva, lo stru­mento lan­ciato dall’ex mini­stro Gio­van­nini) che il governo ha rifi­nan­ziato». Per Parente unire tutti i vari ruscelli in un unico fiume appare «molto pro­ble­ma­tico, anche per­ché c’è anche tutto il tema del lavoro nero e dei con­trolli». «Per me biso­gna sta­bi­lire delle prio­rità verso alcune cate­go­rie dopo che il governo e la Ragio­ne­ria ci defi­ni­ranno le risorse dispo­ni­bili». Il qua­dro è però «in pieno muta­mento» e «se arri­verà un indi­ca­zione di acce­le­rare da parte del governo, noi siamo pronti», chiude Parente.

C’è poi un altro tema fon­da­men­tale. Nelle parole di Grillo — ma non nelle posi­zioni di molti altri Ms5 — il red­dito di cit­ta­di­nanza è in alter­na­tiva agli attuali ammor­tiz­za­tori sociali. Per il comico geno­vese «non biso­gna legare le per­sone ai posti di lavoro», riba­dendo l’idea di abo­lire tout court la cassa inte­gra­zione (che, a parte quella in deroga, è però pagata non dallo Stato ma dalla mutua­lità degli stessi lavo­ra­tori e dalle imprese con una pic­cola ali­quota men­sile). Ieri Grillo ha riba­dito nuo­va­mente il con­cetto: «Se l’avessero voluto l’avrebbero già fatto il red­dito di cit­ta­di­nanza. Manca la volontà poli­tica. Non vogliono i sin­da­cati, ci sono gli ammor­tiz­za­tori sociali».

In realtà anche tra i sin­da­cati le posi­zioni sono più arti­co­late. Se è vero che sono sto­ri­ca­mente con­trari ad una forma di red­dito sle­gato dal lavoro, negli ultimi anni le posi­zioni sono molto cam­biate. La Fiom e parte della Cgil sono da tempo favo­re­voli ad uno stru­mento che inte­gri il red­dito per assi­cu­rare — ad esem­pio — il diritto allo stu­dio per i figli degli ope­rai. Ma di certo Cgil, Cisl e Uil sono con­trari ad intac­care gli attuali ammor­tiz­za­tori sociali, sep­pur in via di ride­fi­ni­zione con il Jobs act. Il rischio che intra­ve­dono è quello che il governo sfrutti la pro­po­sta dei M5s per sot­trarre risorse al capi­tolo gene­rale del lavoro: varare un pic­colo sur­ro­gato per poche cate­go­rie che sarebbe comun­que molto lon­tano dalla pro­po­sta lan­ciata dal M5s. Un rischio tut­tal­tro che esagerato.

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