Piketty: «Scongiurare la bancarotta servirà a non far morire l’euro»

Piketty: «Scongiurare la bancarotta servirà a non far morire l’euro»

Loading

PARIGI Da tempo Thomas Piketty mette in guardia sull’insostenibilità della situazione per la società greca e per l’Europa. Economista di sinistra molto critico nei confronti della politica economica del presidente socialista François Hollande, l’autore del best seller planetario «Il capitale nel XXI secolo» (edito in Italia da Bompiani) dice di trovare «incredibile che oggi si spieghi alla Spagna e alla Grecia che l’unica soluzione è pagare tutto il debito fino all’ultimo euro, quando sappiamo bene che non funzionerà». E per arginare la spiacevole sensazione che un condono del debito sarebbe un regalo troppo generoso verso la Grecia degli sperperi e dell’evasione fiscale, Piketty sottolinea che i grandi Paesi europei non hanno i titoli per dare lezioni: le misure che oggi impongono ad Atene non le hanno applicate — per fortuna — a loro stessi quando stavano messi ancora peggio. Nel dopoguerra Francia e Germania avevano un debito pubblico che superava il 200% del Pil, ma invece di ricorrere all’austerità hanno usato l’inflazione e la ristrutturazione del debito. L’intransigenza europea nei confronti della Grecia fa sorridere, sostiene Piketty. E nonostante alcuni da mesi sostengano che un’uscita della Grecia dall’euro non avrebbe gravi conseguenze per il resto dell’Ue, Piketty la giudica un’eventualità forse fatale per tutta la zona euro .
Quali sarebbero le conseguenze di un default greco?
«Un’uscita della Grecia dall’euro avrebbe conseguenze incalcolabili. La crisi di fiducia che mina la zona euro da cinque anni ormai prenderebbe proporzioni enormi. A ogni elezione, tutti si chiederebbero quale sarebbe il prossimo Paese a uscire. Un’uscita della Grecia potrebbe rappresentare la morte dell’euro».
Nel braccio di ferro tra il leader greco Tsipras e i creditori internazionali, quali potrebbero essere delle concessioni ragionevoli, da una parte e dall’altra?
«La Grecia si trova attualmente in una situazione di leggera eccedenza primaria, ovvero i greci pagano un po’ più tasse di quanto ricevono in termini di spesa pubblica. È ragionevole chiedere ai greci di mantenere questo leggero eccedente, ma per fare questo bisognerebbe trovare rapidamente un accordo. Il problema è che gli accordi del 2012 prevedono una gigantesca eccedenza primaria del 4% del Pil per i decenni a venire! Per fare un confronto, il budget totale di tutte le università in un Paese come la Grecia o l’Italia è di appena l’1% del Pil. Gli accordi del 2012 devono essere rinegoziati, e prima lo si fa e meglio è».
Pensa sia inevitabile andare verso una ristrutturazione del debito greco?
«La storia dei debiti pubblici è piena di ristrutturazioni e cancellazioni del debito, come quella di cui ha beneficiato la Germania dopo la Seconda guerra mondiale. Nel 1953 gli alleati hanno rinunciato a esigere il debito tedesco verso l’estero, e questo ha permesso a quel Paese di investire in crescita, infrastrutture e formazione. Bisogna fare la stessa cosa adesso a livello europeo, mettendo in comune tutti i debiti pubblici della zona euro in un fondo comune di riscatto, e di ristrutturazione».
Quali sono secondo lei le responsabilità della troika (Fmi, Bce, Ue) da una parte e dei governi greci dall’altra?
«I governi greci precedenti al 2010 portano una grande responsabilità per l’attuale situazione del Paese. Ma farne pagare le conseguenze alle giovani generazioni per decenni non è la soluzione. Dal 2010 in poi Germania, Francia e Italia hanno imposto alla Grecia una cura di austerità che ha aggravato la situazione. Anche il Fondo Monetario Internazionale ha riconosciuto di avere sottostimato le conseguenze delle misure imposte alla Grecia in termini di recessione. Il problema è che i grandi Paesi europei rifiutano di ammettere i propri errori e la loro parte di responsabilità».
Di solito si tende a incolpare la Germania.
«Ma non è solo Berlino ad avere un ruolo. L’Italia, la Francia, la Grecia e la Spagna adesso sono chiamate a presentare delle proposte di rifondazione democratica dell’Europa. Spetta a loro agire per mettere l’austerità in minoranza, nel quadro di una Camera parlamentare della zona euro che è indispensabile ma che resta ancora da costruire».


Related Articles

Crolla il mito del curriculum ecco come assume Google

Loading

Non contano gli studi o gli stage I candidati vengono messi alla prova con “test reali”: situazioni di lavoro concrete

Piano Ue per aiutare Italia,Grecia e Ungheria “Ridistribuirne 120mila”

Loading

si tratta di rendere permanente e vincolante il sistema delle quote finora proposto come meccanismo d’emergenza, di alleggerire i paesi d’ingresso delle rotte migratorie e di rendere più ordinata la gestione dei flussi

I malumori da Est a Ovest Nel fronte degli scontenti anche i «primi della classe»

Loading

BRUXELLES — I «sette nani» o i «magnifici sette», a seconda di come li si voglia considerare: Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Finlandia, Austria, Ungheria e Gran Bretagna sono i sette Paesi che direttamente o indirettamente hanno agitato il vertice Ue. E soprattutto, che in qualche caso si sono messi di traverso sulla strada di Angela Merkel, «sparando» sulle sue proposte rigoriste: quasi che la minaccia di commissariare la Grecia sia stata interpretata da qualche altra nazione come rivolta a se stessa.

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment