Pensioni, via al micro bonus elettorale
Annunciato con uno spot elettorale per le imminenti Regionali nella prestigiosa e nazional popolare cornice dell’Arena di Giletti nella domenica pomeriggio di Rai 1, ieri Matteo Renzi ha fatto confermare il decreto pensioni dal Consiglio dei ministri: 500 euro medie una tantum solo per le pensioni comprese tra i 1.500 e i 3.200 euro lordi detenute da 3,7 milioni di italiani.
Mettendo così una pezza alla sentenza della Corte costituzionale depositata lo scorso 30 aprile che dichiara illegittimo il blocco delle rivalutazioni delle pensioni per il biennio 2012–2013. Ma lasciando completamente spalancata la porta ai ricorsi di coloro che non avranno un centesimo dei rimborsi — secondo la Consulta — dovuti. Facendo leva sulle motivazioni della sentenza, il governo se la cava sborsando 2 dei 18 potenziali miliardi che l’arbitrio riconosciuto di Elsa Fornero e Mario Monti ha fatto risparmiare dallo Stato verso le tasche dei pensionati dai 1.200 euro netti al mese in su.
Il bonus medio da 500 euro e sarà elargito il primo agosto solo per le pensioni fino a 3.200 euro lordi — 6 volte il minimo Inps. Per addolcire l’amara pillola ai 2,3 milioni di pensionati esclusi, il premier ha usato le sue solite armi: le promesse e gli annunci. I primi sono già stati puntualmente smentiti: parlando di «indicizzazione dal 2016», tutti avevano capito — rafforzati dalle parole seguenti del ministro Padoan — che il decreto modificasse i criteri di indicizzazione: dal 2014 sono a scalare dal 100 per cento delle 3 volte il minimo fino al 50 per cento per quelle 6 volte il minimo.
Ma niente. Sul sistema di calcolo delle rivalutazioni non c’è alcuna modifica. Si tratta semplicemente di aggiungere il bonus una tantum al montante su cui si calcola la indicizzazione (500 milioni di costo l’anno).
La promessa invece riguarda la prossima legge di stabilità. Lì si affronterà il capitolo «flessibilità in uscita». Ma anche qui le premesse non sono di certo positive per chi si aspetta di poter scegliere di andare in pensione in anticipo sull’innalzamento secco di almeno sei anni previsto dalla riforma Fornero. L’esempio usato dal premier è totalmente vago e ha come unica certezza la penalizzazione sull’assegno: «Se una donna a 62 anni preferisce stare con il nipotino rinunciando 20–30 euro ma magari risparmiando di baby sitter — ha spiegato il presidente — bisognerà trovare le modalità per cui, sempre con attenzione ai denari, si possa permettere a questa nonna di andarsi a godere il nipotino». E ringraziare.
Il decreto quindi non risponde nella maniera più assoluta alle richieste della Corte in fatto di «solidarietà» interna al sistema. La Consulta aveva motivato infatti il suo Sì al blocco della rivalutazione — per le pensioni sopra 8 volte il minimo Inps — del 2007 in quanto i risparmi erano stati usati per superare lo scalone introdotto da Maroni. In questo caso il blocco — sopra i 3.200 euro lordi, 2.7000 euro netti — non viene usato in nessun modo se non quello di ridurre l’impatto sul bilancio dello Stato.
Nel suo intervento — dopo che Renzi aveva lasciato a lui e al collega Poletti l’amaro compito di illustrare i non positivi termini del provvedimento — il ministro Padoan ha spiegato come la Corte costituzionale sia stata messa in secondo piano rispetto ai vincoli europei, tratteggiando un paese a sovranità limitata dall’austerity europea: «Fronteggiare tutte le pensioni avrebbe comportato per l’Italia una procedura per deficit (3,6 per cento) eccessivo Ue, la rimozione della clausola per le riforme e il mancato rispetto della regola del debito».
A copertura dell’una tantum si userà il mitico «tesoretto». «Vi ricordate quella meravigliosa parentesi rosa del Def, la differenza tra 2,5 e 2,6 per cento di deficit che voi giudicavate inesistente? La utilizziamo per le pensioni», ha scherzato Renzi. Anche su questo Padoan ha dovuto correggere il premier, visto che il «tesoretto» è di soli 1,6 miliardi e il costo è invece 2 miliardi e 180 milioni: «È una questione di stock e di flusso. Lo stock sono gli arretrati che saranno pagati con quel differenziale tra deficit tendenziale e programmatico», mentre «la programmazione dei flussi gestirà il resto».
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