by redazione | 19 Maggio 2015 14:59
PECHINO Il premier indiano Narendra Modi ha appena festeggiato il primo anno di governo durante una missione in Cina. Ha discusso del contenzioso territoriale che divide i due Paesi, ma soprattutto ha parlato di affari. Nella tappa a Shanghai ha presentato agli investitori della Repubblica popolare le grandi potenzialità dell’India che lui vuole risvegliare da decenni di torpore e si è fatto fotografare tra Jack Ma, il mago di Alibaba e dell’ecommerce, e Wang Jianlin, l’uomo più ricco dell’Asia. Modi è tornato a casa con due dozzine di contratti che promettono investimenti e prestiti cinesi per 22 miliardi di dollari, soprattutto in infrastrutture.
Pechino, seconda economia del mondo con un Prodotto interno lordo di 10,7 trilioni di dollari, può (e deve) permettersi una certa generosità con il vicino-rivale, il cui Pil è cinque volte inferiore, a 2,1 trilioni di dollari: alla Cina servono nuovi mercati per le sue industrie, capaci di costruire quelle infrastrutture delle quali l’India ha disperato bisogno.
Ma ieri, il ministro delle Finanze di New Delhi ha concesso un’intervista al Financial Times nella quale si dice fiducioso che il tasso di crescita indiano supererà quello cinese, stabilmente. «Penso che possiamo fare meglio» del 7% di crescita annuale sul quale si è attestata la Cina, dice il ministro Arun Jaitley e in uno slancio di entusiasmo aggiunge: «E questo non mi soddisfa ancora». La ricetta del governo Modi è a base di privatizzazioni, riforma della tassazione, abbattimento della burocrazia, grande impulso alle infrastrutture (137 miliardi di dollari nelle ferrovie nei prossimi cinque anni). La Cina sta rallentando sensibilmente dopo i trent’anni di crescita a due cifre e del sorpasso indiano si è cominciato a parlare alla fine del 2014. I numeri e le proiezioni sono ancora incerti, i dubbi sulle cifre ufficiali non mancano, su un fronte e sull’altro.
Goldman Sachs ha previsto che nel 2016 la crescita indiana, in salita al 6,9%, sorpasserà quella della Cina, in discesa al 6,8%. Sono seguite le conferme di Banca mondiale e Fondo monetario internazionale: il tasso di crescita della Cina, primatista mondiale a partire dagli anni 80, sarà superato in un paio d’anni da quello dell’India. Il 9 febbraio la sorpresa: l’ufficio statistiche di New Delhi ha rivisto i criteri di valutazione del Pil e ha annunciato che nell’ultimo trimestre del 2014 l’economia indiana ha aggiunto un 7,5% rispetto al 7,3% cinese. Secondo questi nuovi conti l’anno finanziario, che in India è terminato il 31 marzo, ha registrato un +7,4%, come il 2014 dichiarato da Pechino. Tutti gli analisti, compresi quelli indiani, avevano previsto un 5,5-5,8. Invece, con i dati «aggiustati», il sorpasso indiano è già in atto. Ora Arun Jaitley assicura che l’obiettivo dell’8% nel 2015 è a portata di mano, mentre la Cina sta faticando per mantenere la promessa del 7%.
La rivalità è forte. Il Global Times , giornale del partito comunista cinese, ha ammonito che «l’India dovrebbe stare attenta a non gonfiare i dati del Pil» e ha spiegato che le piccole e medie imprese indiane faticano. La conclusione del quotidiano è interessante, perché contiene un’autocritica: «Come la Cina ha già imparato, rapidi tassi di crescita non conducono necessariamente a una più alta qualità dello sviluppo». Insomma, bisogna stare attenti alla sindrome del «sorpasso».
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