Parigi, ecco la Cité dei rifugiati
Clima di attesa, ieri mattina ai Docks, la Cité de la Mode et du Design, un vecchio magazzino sulla Senna, vicino alla gare d’Austerlitz, ristrutturato con gusto postmoderno, come un enorme battello verde sul fiume. C’è anche il Museo dell’Arte ludica in questo luogo che illustra come un simbolo la situazione contemporanea. Dalla terrazza del Cocktail Bar che dà sulla Senna, con pavimento di legno esotico resistente alla pioggia, basta sporgersi per scorgere un altro mondo che nessuno vuol vedere. Una giungla di tende Quechua, verdi e blu, ospitano, si fa per dire, tra le 200 e le 300 persone. Sono i rifugiati arrivati ultimamente a Parigi, concentrati qui, sulla Rive Gauche.
Un altro accampamento è sotto il metro areo di Boulevard de la Chapelle, nel nord della capitale non lontano dalla gare du Nord (terminal dell’Eurostar). Altre 200–300 persone, che vivono alla giornata, nella sporcizia, con delle toilette provvisorie messe dal comune, intasate e puzzolenti. Ai Docks, un intervento artistico realizzato su un pilone a livello della Senna è la parte posteriore di una bicicletta incastrata nel muro, con la scritta: Ride in peace, un appello rivolto ai tanti che pedalano lungo il fiume.
I migranti aspettano. Giovedì, la Prefettura ha annunciato che ci sarà un’evacuazione di questi due campi parigini. Prima a La Chapelle, probabilmente già all’inizio della prossima settimana, poi alla Cité de la Mode. La decisione della Prefettura ha fatto seguito a un rapporto dell’Agenzia sanitaria regionale, che ha constatato un’epidemia di scabbia.
Donne e bambini alloggiati nelle tendopoli sotto la metropolitana aerea e a vicino ai locali lussuosi che affacciano sulla Senna. Le associazioni: «Accoglienza indegna»
Il comune di Parigi assicura che i suoi servizi sono alla ricerca di una sistemazione più decente per queste persone. Già alle donne con bambini piccoli, affermano al comune, vengono offerte possibilità per passare la notte al riparo, lontano dalla tendopoli di fortuna. I servizi dell’Ofpra (Ufficio francese di protezione dei rifugiati e degli apolidi) sono al lavoro alla Chapelle, schedano e separano: gli eritrei hanno la possibilità di ottenere l’asilo, anche i siriani l’avrebbero, ma per il momento pare che non ce ne siano. Per gli etiopi e i sudanesi le pratiche sono più complicate, per altre nazionalità le possibilità si assottigliano o sono insesistenti. «Un’accoglienza indegna», riassume Pierre Henry, direttore di France Terre d’Asile. Parigi non sa bene come sistemare meno di un migliaio di persone, altre 2mila sono intasate in un’altra giungla a Calais, in attesa di poter sfuggire ai controlli e imbarcarsi clandestinamente per la Gran Bretagna.
La Ue adesso indica che la Francia dovrebbe accogliere 9127 rifugiati, provenienti da Italia e Grecia. Ma per il momento il governo, dopo aver respinto l’idea delle “quote”, non ha reagito e aspetta la riunione dei ministri degli interni di metà giugno e il Consiglio dei capi di stato e di governo del 25–26 giugno, dove molti altri paesi esprimeranno il rifiuto della “ripartizione” del “fardello”.
Alla Cité de la Mode come alla Chapelle, una parte dei migranti aspettano di poter raggiungere Calais, oppure di trovare la strada — cioè qualche passeur — per la Germania o la Svezia. Pierre Henry sottolinea la presenza nefasta dei passeurs, che «hanno interesse a mantenere la precarietà», si appella ai poteri pubblici perché mettano fine a questa vergogna, dove «proliferano le radicalità, da un lato i gruppi salafisti, che sono venuti a predicare vicino all’accampamento, dall’altro, l’estrema destra, che strumentalizza la situazione».
Molti rifugiati sono sbarcati in Italia, dopo essere passati per l’inferno libico. Vedono Parigi solo come una sosta e il governo non fa nulla per trattenerli, anzi. La precarietà è considerata dissuasiva. L’Ofpra ricorda comunque che alcune nazionalità hanno diritto all’asilo: all’inizio della settimana, c’è stata un’operazione a Calais e 111 eritrei (tra cui 16 donne) hanno ottenuto protezione.
Una goccia nell’oceano di questa miseria. Molti restano diffidenti, si nascondono, non vogliono farsi reperire e schedare, sperando di poter trovare la strada per altri paesi, dove alcuni hanno dei famigliari o contatti con persone del loro paese.
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