Neta­nyahu, il governo della debolezza

Neta­nyahu, il governo della debolezza

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«Datemi un mini­stero o non voto la fidu­cia e affosso il governo». Ayoub Kara, depu­tato druso del Likud, non ha perso tempo. Con il suo aut aut ieri ha evi­den­ziato subito la debo­lezza del pre­mier Neta­nyahu. La nuova mag­gio­ranza potrà con­tare alla Knes­set su soli 61 seggi su 120. È un mar­gine tal­mente risi­cato da tenere peren­ne­mente in bilico il nuovo ese­cu­tivo di destra, peral­tro for­mato dal primo mini­stro all’ultimo istante dopo una trat­ta­tiva este­nuante. Pesano anche i con­tra­sti all’interno della mag­gio­ranza tra gli ultra­zio­na­li­sti reli­giosi di Casa Ebraica e i par­titi reli­giosi orto­dossi Shas e Lista Unita della Torah, ossia tra chi spinge per fare degli ebrei timo­rati (hare­dim) dei “sio­ni­sti con­vinti”, ben inse­riti nelle forze armate, e chi si oppone a que­sto pro­getto. E’ un punto così cri­tico da aver spinto l’ex mini­stro degli esteri Avig­dor Lie­ber­man, lea­der del lai­cis­simo par­tito di estrema destra Yisrael Bei­tenu, a restare fuori dalla coa­li­zione in pole­mica pro­prio con gli accordi rag­giunti da Neta­nyahu con gli orto­dossi. Neta­nyahu non ha alter­na­tiva, deve allar­gare subito la mag­gio­ranza se vuole soprav­vi­vere e il suo obiet­tivo è (ri)portare den­tro il governo Lie­ber­man. Altri­menti dovrà cor­teg­giare il capo dell’opposizione e lea­der di Campo Sio­ni­sta Yitz­hak Her­zog, che da parte sua avverte che «non farà da tap­pa­bu­chi a Neta­nyahu». Per Her­zog «il nuovo governo non potrà fun­zio­nare, è un fallimento».

La mon­ta­gna ha par­tito il topo­lino. Come sia potuto acca­dere che dalla vit­to­ria elet­to­rale del 17 marzo, ampia, deva­stante per gli avver­sari, Neta­nyahu sia riu­scito a for­mare una mag­gio­ranza tanto insta­bile, è l’interrogativo di tutti in Israele, dall’uomo della strada al com­men­ta­tore poli­tico. Sima Kad­mon su Yediot Ahro­not si è diver­tita a rac­con­tare la gioia degli ultra­na­zio­na­li­sti di Casa Ebraica – pena­liz­zati a marzo dagli appelli all’elettorato di destra al “voto utile” lan­ciati da Neta­nyahu e dal suo par­tito il Likud – quando a ini­zio set­ti­mana Lie­ber­man ha annun­ciato la sua deci­sione di pas­sare all’opposizione. Quel giorno si è aperta una auto­strada davanti a Casa Ebraica che con soli 8 seggi alla Knes­set ha otte­nuto tre mini­steri, strap­pando al pre­mier anche quello della giu­sti­zia. E assieme al lea­der di Casa ebraica, Naf­tali Ben­nett, ieri festeg­gia­vano i coloni che di que­sto par­tito sono i prin­ci­pali soste­ni­tori per­chè coniuga il sio­ni­smo con la reli­gione, nel solco trac­ciato dai rab­bini Kook, padre e figlio, gli ideo­logi della colo­niz­za­zione in nome della reden­zione della “terra pro­messa”. A com­ple­tare la “festa” è giunta la noti­zia, dif­fusa dall’ong Peace Now, che saranno costruite altre 900 abi­ta­zioni nella colo­nia di Ramat Shlomo, che la prin­ci­pale agen­zia di stampa ita­liana ieri, incu­rante del diritto inter­na­zio­nale, ha defi­nito un “sob­borgo ebraico” nel set­tore pale­sti­nese (Est) di Geru­sa­lemme occu­pato mili­tar­mente da Israele nel 1967. Il piano ori­gi­nale pre­ve­deva per Ramat Shlomo 500 case si era poi pas­sati ad un pro­getto di 1531 appar­ta­menti, ora ridotte al 60%.

Ramat Shlomo è stata a par­tire dal 2010 motivo di con­tra­sti aperti tra Neta­nyahu e l’Amministrazione Obama, con­tra­ria, ma solo a parole, all’espansione delle colo­nie israe­liane. Barack Obama ieri ha però scelto di non vedere l’ulteriore svi­luppo di Ramat Shlomo. Con­tra­ria­mente a quanto aveva fatto dopo il voto del 17 marzo, Obama ha imme­dia­ta­mente fatto le con­gra­tu­la­zioni al pre­mier israe­liano per la for­ma­zione del nuovo governo, con il quale il pre­si­dente ame­ri­cano si dice pronto a «lavo­rare insieme», anche sulla solu­zione dei due Stati, Israele e Pale­stina. Una illu­sione hanno com­men­tato ieri i pale­sti­nesi. Per Saeb Era­kat, il capo dei nego­zia­tori dell’Olp, «la nuova coa­li­zione di governo israe­liana è estre­mi­sta. Si basa sull’avversione alla pace e alla sta­bi­lità nella regione».



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