by redazione | 7 Maggio 2015 9:05
Matteo Renzi ha firmato alle nove del mattino, Sergio Mattarella nel pomeriggio. Entrambi i presidenti hanno immediatamente diffuso la notizia via twitter, ma il presidente del Consiglio ha aggiunto una foto — la mano destra con la biro, il foglio fermato con l’indice della sinistra — e una dedica: «A tutti quelli che ci hanno creduto, quando eravamo in pochi a farlo». Delle due firme quella imprevista è la prima, quella di Renzi. Ha anticipato il presidente della Repubblica, quando è noto che il capo del governo deve controfirmare le leggi una volta promulgate dal capo dello stato. La formula che si intravede sul foglio twittato da Renzi è la classica che accompagna la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale — «La presente legge, munita del sigillo dello stato, sarà inserita nella Raccolta ufficiale degli atti normativi…» — ma la firma di Mattarella ancora non c’era. È arrivata, inevitabilmente, poco dopo.
Il presidente della Repubblica non ha accompagnato la promulgazione con un breve messaggio, al modo in cui qualche volta aveva fatto Giorgio Napolitano, così smentendo quanti avevano previsto qualche parola dal Colle sul necessario collegamento dell’Italicum alla riforma costituzionale. La legge che il parlamento ha mandato al presidente si sarebbe prestata a qualche osservazione, visto che è previsto che resti sospesa per oltre un anno (fino al luglio 2016). La Corte costituzionale (con il voto dello stesso Mattarella) anche nella sentenza del 2014 che ha abbattuto il Porcellum aveva ricordato come il paese non può restare un solo giorno senza una legge elettorale applicabile. Eppure il parlamento scrivendone una nuova ha deciso di lasciarla tra parentesi. E non si è preoccupato nemmeno di fare gli interventi necessari a rendere applicabile da subito il Consultellum, cioè il sistema residuato dalla sentenza della Corte (e dalla Corte stessa previsti). La sospensione, infine, è addirittura senza limite per il senato, posto che l’Italicum vale per la sola camera e il sistema è destinato a restare incompleto fino a che non sarà abolito il senato elettivo. Su tutto questo Mattarella non ha ritenuto di precisare nulla.
Il presidente non ha avuto alcuna osservazione da fare neanche sulle più volte sollevate questioni di incostituzionalità della legge, ma in questo secondo caso si tratta di una scelta assai più prevedibile e comprensibile alla luce delle prerogative del capo dello stato. È invece proprio su questo, cioè sul non aver rifiutato del tutto la firma, chiedendo alle camere una nuova deliberazione, che il Movimento 5 Stelle ha preso immediatamente — e pesantemente — ad attaccare il presidente della Repubblica, al quale pure si era rivolto con grandi speranze nell’ultimo intervento alla camera prima del voto finale. Mentre dal predecessore di Mattarella, Giorgio Napolitano, è arrivato un prevedibile messaggio di consenso: «È un raggiungimento importante, era inevitabile approvare l’Italicum che del resto non è arrivato in un mese ma in oltre un anno».
Sono passati in realtà tre mesi scarsi da quando il testo della legge elettorale è stato cristallizzato in senato, immediatamente prima dell’elezione di Mattarella. Nulla è cambiato da allora, il presidente lo conosce bene e dunque non ha senso giudicare «rapida» la sua firma, arrivata il giorno stesso in cui la legge è ufficialmente approdata sulla sua scrivania. Dieci anni fa Carlo Azeglio Ciampi lasciò trascorrere otto giorni prima di promulgare il Porcellum, ci pensò bene, ma la legge fu ugualmente giudicata incostituzionale dalla Consulta, molti anni più tardi.
In attesa dei giudici della Corte Costituzionale davanti ai quali sarà certamente portata (prima o poi) anche questa legge elettorale, si sono fatte sentire le agenzie internazionali di rating. Fitch ha scritto che l’approvazione dell’Italicum «nel medio termine rafforzerà il profilo di credito del paese riducendo i rischi politici che gravano sulle politiche economiche e di bilancio». Mentre secondo il Financial Times con la nuova legge elettorale si mette fine all’«ossessivo sistema di pesi e contrappesi che ha regolarmente prodotto coalizioni di governo instabili» e si «accresce la forza dell’esecutivo». Forse persino troppo: One worry is that it may place too much power in the hands of the executive.
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