by redazione | 14 Maggio 2015 14:29
PECHINO IL PREMIER indiano Narendra Modi è impegnato da oggi nel suo più importante tour all’estero dal giorno dell’elezione, esattamente un anno fa. Per sei giorni il leader nazionalista visiterà Cina, Corea del Sud e Mongolia, ma è chiaro che la tappa cruciale del viaggio è la prima al di là della Grande Muraglia. India e Cina sono i due giganti della popolazione mondiale, vantano mega-economie in crescita, sono costrette alla convivenza, ma restano divise da storiche dispute territoriali. Il senso della missione, seguita con particolare attenzione sia a Washington che a Bruxelles, è stato anticipato dallo stesso Modi: «Il XXI secolo — ha detto — appartiene all’Asia». Il non detto è però ancora più decisivo: l’India avverte la Cina che se sta cercando di stabilire un’egemonia, non avrà vita facile nemmeno in Oriente.
Nelle prossime ore la sfida, per Pechino e per New Delhi, è trovare così un equilibrio tra i colossi del mondo con il segno più, capace di scongiurare i conflitti che emergono all’orizzonte. Per riuscirci, senza pagare un prezzo troppo alto, Modi restituisce la visita in India effettuata in settembre dal presidente cinese Xi Jinping e appare evidente lo sforzo di costruire una fiducia personale almeno apparente tra i due leader. Xi Jinping si era spinto nello stato indiano del Gujarat, per rendere omaggio alla terra natale dell’ospite. Lo stesso fa oggi Modi, che inizia il viaggio da Xian, nello Shanxi, regione di nascita del “nuovo Mao” e cuore culturale dell’ex Celeste Impero. Al di là dei gesti simbolici, tesi a presentare l’Asia come un blocco unito, il lungo vertice India- Cina ha agende fitte sia sul piano economico che su quello politico e promette di essere orientato ad un obbligato pragmatismo reciproco.
Se l’età contemporanea è davvero “il secolo dell’Asia”, Pechino e New Delhi possono trovarsi su posizione diverse, ma non opposte. L’India soffre il dirompente emergere dell’influenza globale cinese e, assieme a Giappone e Corea del Sud, è legata all’alleanza strategica con gli Usa, sancita in marzo dalla visita di Barack Obama. Atterrando a Xian, Modi ha però ammesso di non poter prescindere da «relazioni sempre più strette» con l’ingombrante vicino di casa, a cui non chiederà una definizione immediata dei confini contesi nell’area himalayana. Pechino è il primo partner commerciale di New Delhi, l’interscambio raggiunge i 70 miliardi di dollari, con un deficit indiano di circa 38 miliardi. Anche la Cina non può dunque sottovalutare un cliente tanto generoso, influente in tutto il Pacifico, in rapida via di sviluppo, ammirato e rispettato in Occidente e che anche grazie alla sua gioventù promette di diventare la seconda super-potenza del secolo.
Se nel “G2 dell’Oriente” i motivi di scontro restano solidi e in approfondimento, le ragioni per superare diffidenze e rivalità risultano oggi prevalenti e Modi punta, oltre che a chiudere 10 miliardi di dollari di contratti, a distendere le relazioni. Assieme a Xi Jinping in Cina incontra il premier cinese Li Keqiang e la comunità d’affari di Shanghai, in vista di una cooperazione economica estesa a tutta l’Asia. Sul piatto ci sono i due più ricchi progetti internazionali partoriti dopo la crisi finanziaria globale del 2009: la nuova “Via della Seta”, lanciata da Pechino per connettere l’Oriente con l’Europa, e la nuova “Asian Infrastructure Investment Bank” (Aiib), l’anti-Banca Mondiale voluta dalla Cina, che fino all’ultimo Washington e Tokyo hanno cercato di ridimensionare.
Sulla carta l’India è stata per ora aggirata dalla recuperata “Via della Seta”. Pechino ha disegnato strade e ferrovie che attraversano Asia centrale e Russia, rotte marittime che per raggiungere il Mediterraneo solcano il Pacifico passando dal Sudest asiatico. Negli ultimi mesi Modi non ha nascosto la sua irritazione per l’aggiramento cinese, definito un “giro di perle” ideato per ingabbiare gli interessi indiani attraverso l’attrazione verso Pechino di Pakistan, Bangladesh, Myanmar, Afghanistan, Nepal, Indonesia e Russia. La Cina, consapevole degli allarmi e delle antipatie destati anche dalla sua corsa al riarmo, ieri ha minimizzato. « Vorremmo sfruttare la visita del pre- mier indiano — ha detto la portavoce degli Esteri, Hua Chunying — per elevare ad un livello nuovo le relazioni Cina-India». L’obiettivo di Xi Jinping è convincere Narendra Modi, e dunque Barack Obama, il leader giapponese Shinzo Abe e le cancellerie Ue, «che nessuna potenza potrà pretendere di dominare l’Asia».
Prima preoccupazione: abbassare la tensione nel Mar cinese meridionale, rotta commerciale strategica lungo la quale da mesi Pechino sta costruendo isole artificiali e piste d’atterraggio in quelle che anche la Casa Bianca considera “acque internazionali”. L’economia indiana vale oggi un terzo di quella cinese. La prima sta però crescendo dell’8,5%, mentre la seconda nel 2015 frenerà al più 7%. Un simile trend, entro fine secolo, porterebbe al clamoroso sorpasso dell’India sulla Cina, anticipato al 2038 se Delhi accelerasse al 10% e Pechino rallentasse fino al 5%.
Se Modi teme oggi «una mentalità espansionistica cinese da 18° secolo», anche Xi Jinping diffida così del grande lobbysta occidentale nel cuore dell’Asia. Pechino è il simbolo del successo del nuovo autoritarismo di mercato, New Delhi l’icona delle democrazie capitaliste in crescita tra i regimi dell’Oriente: «Ridurre la rivalità geopolitica e commerciale — ha detto ieri il portavoce di Modi — è la condizione per non fermare lo sviluppo asiatico e per riavviare le economie dell’Occidente». Il premier indiano, forte dell’appoggio di Washington e di Tokyo, chiederà così a Xi Jinping sia di riconsiderare i tracciati della «Via della Seta» (definita anche «One belt, one road»), per modernizzare le non competitive infrastrutture indiane, sia di riservare a New Delhi un peso maggiore nell’Aiib, istituto che si appresta a erogare quasi 100 miliardi di dollari per avvicinare le fabbriche asiatiche ai mercati europei.
Nel nuovo “Grande gioco” dell’Asia, che sconvolge le alleanze figlie della Guerra Fredda, rientrano anche Iran e Pakistan, Vietnam e Malesia, Filippine e Sri Lanka, Afghanistan e Seychelles, Paesi fino a ieri emarginati e oggi improvvisamente contesi sia dalla Cina che dall’India. Narendra Modi e Xi Jinping non sono ancora nelle condizioni di discutere da soli di una nuova “spartizione dell’Oriente”, ma oggi si incontrano consapevoli per la prima volta di giocare una partita per «il controllo dell’Asia e per l’influenza sul resto del pianeta».
Tra i due giganti, uniti dal business e divisi dal potere, rimane il «problema Russia». Per capovolgere gli equilibri globali, trasferendo l’egemonia dall’Occidente all’Oriente, Pechino e New Delhi concordano sul fatto che Mosca non può restare esclusa. Modi però, fedele al patto con Obama, vorrebbe prima consolidare «un’Asia a due teste» e poi «attaccarci il corpo russo». Xi Jinping, ultimo grande sponsor energetico di Putin, è deciso invece a «costruire subito un nuovo Oriente tripolare» a guida cinese. Da oggi a sabato tra i due leader delle super-potenze in crescita si gioca dunque una partita fondamentale per tutti, a partire dall’Europa. Un fallimento del vertice Xi-Modi, con una frenata del tandem Pechino-Delhi, sarebbe una buona notizia solo per chi continua ad avere paura del futuro. Ma il successo di un’allargata “Via della Seta” sino-indiana, non sarà una cattiva notizia solo se Europa e Usa sapranno poi percorrerla davvero con mezzi attrezzati per le lunghe distanze.
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