“La tortura del furgone per uccidere Freddie” Svolta a Baltimora incriminati sei poliziotti

by redazione | 3 Maggio 2015 17:24

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NEW YORK . «Quello che chiede la gente di Baltimora, è la verità ». Barack Obama aveva appena pronunciato queste parole venerdì; non poteva sapere che il suo desiderio sarebbe stato esaudito così presto. Poche ore dopo, una prima verità è arrivata. Esemplare e rapida, è stata la decisione della procura di Baltimora sulla morte di Freddie Gray. Sei poliziotti sono stati incriminati per omicidio. Proprio come sospettava la gente del quartiere a West Baltimore, i vicini dei caseggiati popolari che avevano intuito subito la brutalità dell’arresto, quando il 12 aprile videro i poliziotti che caricavano il 25enne nero sul furgone, e lui che arrancava zoppicando. Sospetti che già erano stati alimentati dal primo referto medico, quello che poco dopo la morte di Gray avvenuta il 19 aprile parlò di lesione alla spina dorsale.
Dei sei agenti incriminati, quello su cui pende l’accusa più pesante è l’autista del furgone. La procuratrice di Stato Marilyn Mosby gli imputa diversi reati, tra cui uno che si può tradurre come «omicidio preterintenzionale con crudele indifferenza alla vita umana ». Gli altri se la cavano con incriminazioni relativamente più lievi come l’omicidio colposo, però aggravate da percosse. Su tutti pende anche un reato che non viene quasi mai addebitato alla polizia: «arresto abusivo». Gray non aveva commesso alcun reato quel giorno (anche se era pregiudicato e aveva scontato due anni di carcere), il coltellino che gli trovarono addosso non è un’arma né tantomeno proibito. La rapida decisione della Mosby — che solo poche ore prima aveva ricevuto i risultati dell’indagine interna alla polizia e i referti medici completi — è stata accolta con sollievo dalla popolazione di Baltimora. Ha scatenato invece le ire del sindacato di polizia: «Decisione frettolosa, precipitosa », l’hanno definita. Fino a insinuare che si tratta di un gesto politico: da una parte teso a calmare la piazza dopo una settimana di proteste; dall’altra a soddisfare la constituency che solo pochi mesi fa aveva eletto la giovanissima procuratrice afroamericana (la sua è una delle cariche giudiziarie elettive in America).
La ricostruzione degli eventi rilancia un’ipotesi avanzata da diversi media americani. E’ la pista della “tortura del furgone”. Un metodo in voga tra le polizie locali tempo fa, e che si credeva caduto in disuso. “Rough drive”, guida dura, è l’eufemismo per descriverlo. L’arrestato viene ammanettato, sbattuto sul retro di un furgone di polizia, e da quel momento inizia una guida spericolata, con frenate brusche, curve improvvise, che fanno sobbalzare il mezzo. I poliziotti a bordo si tengono saldi come in un “rodeo”. L’arrestato, ammanettato e a volte bendato, sbatte da tutte le parti. E’ una vera tortura, al termine della quale la vittima subisce contusioni, ferite, a volte gravi. Il “vantaggio” di questo metodo, per gli agenti che lo praticano: le loro mani restano per così dire pulite, non sono loro direttamente a pestare chi è in stato di fermo, i maltrattamenti li infligge… il furgone. E dunque, nei rari casi in cui si viene scoperti, è più facile che gli agenti la facciano franca e rimangano impuniti. Per ora le accuse della procuratrice riguardano soprattutto la mancata assistenza ad un cittadino che non doveva neppure essere arrestato, e che durante il percorso sul furgone perse conoscenza. Dei sei agenti la metà sono neri, di cui una donna sergente afroamericana.
Ma altre donne sono le vere protagoniste, in positivo, di questa svolta nella tragedia di Baltimora. Al centro dell’attenzione ora c’è la 35enne Mosby, la più giovane procuratrice di tutta l’America, eletta proprio per le sue posizioni avanzate sui diritti civili e le sue ripetute denunce contro i difetti del sistema penale americano. Oggi tutti ricordano il duro discorso che lei aveva fatto in occasione delle proteste di Ferguson, criticando la magistratura locale per i ritardi nell’inchiesta sulla morte di Michael Brown. Un’altra figura chiave è il sindaco, anche lei una donna afroamericana, Stephanie Rawlings-Blake. Se gli eventi di Baltimora stanno prendendo una piega molto diversa rispetto a quelli di Ferguson, lo si deve anche a lei che ha evitato un’eccessiva militarizzazione nella risposta della polizia alle proteste. La prossima prova però sarà il processo: la parola finale spetta alla giuria popolare, e la polizia spera che i giurati sconfessino la Mosby.
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