La sequenza infernale dell’Europa

by redazione | 22 Maggio 2015 10:00

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Tsi­pras ostenta otti­mi­smo e punta su un «accordo di reci­proco van­tag­gio» da defi­nire nel col­lo­quio con la Mer­kel e Hol­lande al Con­si­glio Euro­peo di Riga. Varou­fa­kis è ancora più det­ta­gliato: «La rot­tura delle trat­ta­tive è fuori dal nostro oriz­zonte», ha dichia­rato lunedì, spe­ci­fi­cando anche che il nodo più dif­fi­cile sono le pen­sioni. «Ci chie­dono casse in pareg­gio con 27% di disoc­cu­pa­zione», si è lamen­tato il mini­stro delle Finanze.

Se a Riga sarà fumata nera, allora Atene si avvierà spe­di­ta­mente verso una sospen­sione dei paga­menti del debito. Dal 5 giu­gno ini­zia infatti una sequenza infer­nale di ver­sa­menti che alla fine del mese ammon­te­ranno a 1,2 miliardi. Poi, a luglio e inizi ago­sto altri 6 miliardi, tra Fmi, Bce e titoli in sca­denza. Sono soldi che la Gre­cia sem­pli­ce­mente non ha.

Anche Varou­fa­kis è con­vinto che alla fine vin­cerà la «ragio­ne­vo­lezza». Secondo lui, il domi­nio di Schau­ble den­tro l’eurogruppo non è asso­luto: «Certo, ci sono i fana­tici dell’austerità, ma ci sono anche quelli che hanno dovuto subire l’austerità e che ora, per ragioni poli­ti­che, non pos­sono dire che hanno sba­gliato. E poi ci sono coloro che temono di alzare troppo la voce per non subire a loro volta misure di auste­rità». Ovvia­mente, nel secondo gruppo c’è la destra spa­gnola e por­to­ghese e nel terzo i socia­li­sti fran­cesi e i demo­cra­tici italiani.

Tsi­pras è con­vinto di avere alleati in Europa, sep­pure occa­sio­nali. Non per­ché piace loro la sini­stra radi­cale greca, ma per­ché vedono con grande pre­oc­cu­pa­zione i rischi che com­porta l’estremismo libe­ri­sta tede­sco. In sostanza, hanno il fon­da­tis­simo sospetto che sul caso greco Schau­ble stia gio­cando fino in fondo la sua carta più poli­tica: che la que­stione del debito esca anche uffi­cial­mente dagli schemi della poli­tica mone­ta­ria comune e diventi il para­digma della nuova geo­me­tria della poli­tica europea.

L’eventuale espul­sione della Gre­cia dall’eurozona segnerà nel modo più for­male l’incompatibilità tra la moneta comune e qual­siasi poli­tica eco­no­mica espan­siva. Ber­lino smet­te­rebbe di nascon­dersi die­tro ai trat­tati e mostre­rebbe la sua fac­cia di vero e unico prin­cipe euro­peo. Per otte­nere que­sto, la destra oltran­zi­sta tede­sca sem­bra anche dispo­sta a pro­ce­dere in mezzo alle rovine dell’eurozona. Le ripe­tute assi­cu­ra­zioni di Schau­ble sulla pre­sunta «corazza» che la difen­de­rebbe dal fal­li­mento greco espri­mono esat­ta­mente que­sto spi­rito avven­tu­riero: il «ricatto» di Tsi­pras non deve pas­sare, costi quel che costi.

In queste condizioni il progetto di unificazione europea sta arrivando in un punto critico.

La vit­to­ria di Came­ron ha aperto la strada verso il refe­ren­dum bri­tan­nico sulla per­ma­nenza nell’Ue e non è per niente scon­tato che vin­cano gli euro­pei­sti. Gli umori dei popoli euro­pei li abbiamo potuti tastare in maniera esau­riente nelle ele­zioni euro­pee dell’anno scorso. Infatti, non a caso, i risul­tati di quelle urne sono stati imme­dia­ta­mente rimossi, cen­su­rati e messi tra paren­tesi. Ora il loro spet­tro ritorna e batte forte sul tavolo: gli euro­pei sono furiosi con l’Europa, una fetta cre­scente della popo­la­zione non ne vuole più sapere: o si astiene visto­sa­mente oppure indi­rizza pole­mi­ca­mente il suo voto verso movi­menti anti­eu­ro­pei, spesso di destra.

Lasciando da parte la que­stione immi­gra­zione, sulla quale (pur­troppo) l’Europa incide pochis­simo, la pro­te­sta popo­lare si rivolge con­tro un avver­sa­rio che si chiama euro e le sue regole.

Negli ultimi 6 anni gli euro­pei hanno assi­stito a una gestione della crisi aper­ta­mente e spie­ta­ta­mente di classe, a una tem­pe­sta di tagli, all’abbattimento del costo del lavoro, alla disgre­ga­zione dello stato sociale e all’impoverimento della società. Tutto que­sto in nome di regole appli­cate da orga­ni­smi privi di legit­ti­ma­zione democratica.

La «destra» e la «sini­stra» non solo hanno «abban­do­nato» la società ma sono stati «com­plici» nel far nascere que­sto mostro, si sente dire, e non è facile smen­tire que­sta accusa.

Que­sta nostra tra­ge­dia, ovvia­mente, si svolge di fronte al mondo intero e sarebbe strano che anche i bri­tan­nici non trag­gano le loro conseguenze.

Anche Tsi­pras viene accu­sato den­tro il suo par­tito di aver tirato le trat­ta­tive per le lun­ghe, con il rischio di «annac­quare troppo» il pro­gramma del governo di sinistra.

La vera accusa però è un’altra e nes­suno osa dirla a voce alta: è quella di non aver voluto rom­pere con l’eurozona, non aver voluto ricor­rere da subito alla «bomba ato­mica» in mano alla Gre­cia, cioè la sospen­sione imme­diata del paga­mento del debito. È un’accusa fon­data: né Tsi­pras né Varou­fa­kis hanno voluto spa­rare per primi e hanno sem­pre rispo­sto in maniera ferma ma con­ci­liante alle pro­vo­ca­zioni di Schau­ble e dei suoi amici. Il pre­mier greco si è giu­sti­fi­cato dicendo che il man­dato elet­to­rale diceva: niente auste­rità ma all’interno dell’eurozona. Una posi­zione estre­ma­mente più com­plessa e più dif­fi­cile di quella di Beppe Grillo, di Farage o di Marine Le Pen che vogliono farla finita con l’Ue una volta per tutte.

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