La sequenza infernale dell’Europa
Tsipras ostenta ottimismo e punta su un «accordo di reciproco vantaggio» da definire nel colloquio con la Merkel e Hollande al Consiglio Europeo di Riga. Varoufakis è ancora più dettagliato: «La rottura delle trattative è fuori dal nostro orizzonte», ha dichiarato lunedì, specificando anche che il nodo più difficile sono le pensioni. «Ci chiedono casse in pareggio con 27% di disoccupazione», si è lamentato il ministro delle Finanze.
Se a Riga sarà fumata nera, allora Atene si avvierà speditamente verso una sospensione dei pagamenti del debito. Dal 5 giugno inizia infatti una sequenza infernale di versamenti che alla fine del mese ammonteranno a 1,2 miliardi. Poi, a luglio e inizi agosto altri 6 miliardi, tra Fmi, Bce e titoli in scadenza. Sono soldi che la Grecia semplicemente non ha.
Anche Varoufakis è convinto che alla fine vincerà la «ragionevolezza». Secondo lui, il dominio di Schauble dentro l’eurogruppo non è assoluto: «Certo, ci sono i fanatici dell’austerità, ma ci sono anche quelli che hanno dovuto subire l’austerità e che ora, per ragioni politiche, non possono dire che hanno sbagliato. E poi ci sono coloro che temono di alzare troppo la voce per non subire a loro volta misure di austerità». Ovviamente, nel secondo gruppo c’è la destra spagnola e portoghese e nel terzo i socialisti francesi e i democratici italiani.
Tsipras è convinto di avere alleati in Europa, seppure occasionali. Non perché piace loro la sinistra radicale greca, ma perché vedono con grande preoccupazione i rischi che comporta l’estremismo liberista tedesco. In sostanza, hanno il fondatissimo sospetto che sul caso greco Schauble stia giocando fino in fondo la sua carta più politica: che la questione del debito esca anche ufficialmente dagli schemi della politica monetaria comune e diventi il paradigma della nuova geometria della politica europea.
L’eventuale espulsione della Grecia dall’eurozona segnerà nel modo più formale l’incompatibilità tra la moneta comune e qualsiasi politica economica espansiva. Berlino smetterebbe di nascondersi dietro ai trattati e mostrerebbe la sua faccia di vero e unico principe europeo. Per ottenere questo, la destra oltranzista tedesca sembra anche disposta a procedere in mezzo alle rovine dell’eurozona. Le ripetute assicurazioni di Schauble sulla presunta «corazza» che la difenderebbe dal fallimento greco esprimono esattamente questo spirito avventuriero: il «ricatto» di Tsipras non deve passare, costi quel che costi.
In queste condizioni il progetto di unificazione europea sta arrivando in un punto critico.
La vittoria di Cameron ha aperto la strada verso il referendum britannico sulla permanenza nell’Ue e non è per niente scontato che vincano gli europeisti. Gli umori dei popoli europei li abbiamo potuti tastare in maniera esauriente nelle elezioni europee dell’anno scorso. Infatti, non a caso, i risultati di quelle urne sono stati immediatamente rimossi, censurati e messi tra parentesi. Ora il loro spettro ritorna e batte forte sul tavolo: gli europei sono furiosi con l’Europa, una fetta crescente della popolazione non ne vuole più sapere: o si astiene vistosamente oppure indirizza polemicamente il suo voto verso movimenti antieuropei, spesso di destra.
Lasciando da parte la questione immigrazione, sulla quale (purtroppo) l’Europa incide pochissimo, la protesta popolare si rivolge contro un avversario che si chiama euro e le sue regole.
Negli ultimi 6 anni gli europei hanno assistito a una gestione della crisi apertamente e spietatamente di classe, a una tempesta di tagli, all’abbattimento del costo del lavoro, alla disgregazione dello stato sociale e all’impoverimento della società. Tutto questo in nome di regole applicate da organismi privi di legittimazione democratica.
La «destra» e la «sinistra» non solo hanno «abbandonato» la società ma sono stati «complici» nel far nascere questo mostro, si sente dire, e non è facile smentire questa accusa.
Questa nostra tragedia, ovviamente, si svolge di fronte al mondo intero e sarebbe strano che anche i britannici non traggano le loro conseguenze.
Anche Tsipras viene accusato dentro il suo partito di aver tirato le trattative per le lunghe, con il rischio di «annacquare troppo» il programma del governo di sinistra.
La vera accusa però è un’altra e nessuno osa dirla a voce alta: è quella di non aver voluto rompere con l’eurozona, non aver voluto ricorrere da subito alla «bomba atomica» in mano alla Grecia, cioè la sospensione immediata del pagamento del debito. È un’accusa fondata: né Tsipras né Varoufakis hanno voluto sparare per primi e hanno sempre risposto in maniera ferma ma conciliante alle provocazioni di Schauble e dei suoi amici. Il premier greco si è giustificato dicendo che il mandato elettorale diceva: niente austerità ma all’interno dell’eurozona. Una posizione estremamente più complessa e più difficile di quella di Beppe Grillo, di Farage o di Marine Le Pen che vogliono farla finita con l’Ue una volta per tutte.
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