by redazione | 6 Maggio 2015 10:00
Cinquecento mila docenti, precari, studenti, genitori e personale scolastico nelle piazze di Aosta, Bari, Catania, Cagliari, Palermo, Milano e Roma (e in altre decine di città in tutto il paese) contro la riforma della scuola targata Renzi-Giannini-Pd non fanno arretrare di un millimetro il governo. Non è bastata la più grande protesta della scuola pubblica dal 2008 (80% aderenti allo sciopero generale) per allentare la presa sul progetto della sua trasformazione aziendalista e autoritaria che il partito Democratico persegue sin dall’approvazione della legge Berlinguer-Zecchino del 2000, quando approvò anche la normativa sulle scuole paritarie. Ieri, da Bolzano, il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha risposto così alle richieste dei maggiori sindacati di fermare lo’iter di approvazione del Ddl sulla «Buona Scuola », stralciare l’assunzione dei 100.701 precari in un decreto e abolire la contestatissima norma sui «presidi-manager»: «Abbiamo intrapreso il percorso di grandi riforme e andremo avanti con la testa dura» ha detto Renzi che ieri ha proposto di adottare il modello del Sud Tirolo alla scuola italiana.«Coniuga qualità e praticità» ha detto.
L’ostinazione delle «teste dure» al governo, e delle loro appendici nel «partito della Nazione» è presto spiegato: con l’Italicum e il Jobs Act, la riforma della scuola è parte di un tris d’assi che Renzi intende presentare prima dell’estate mostrando così il profilo compiuto della sua personale rivoluzione conservatrice. «Siamo pronti ad ascoltare e condividere» ha ribadito Renzi, fermo restando però il principio dell’«autonomia».
Lo scontro sulla scuola verte proprio su questo concetto di «autonomia», la base di tutte le riforme della scuola da quindici anni. La riforma Renzi ha avuto il merito di chiarirlo definitivamente: l’«autonomia» è quella del preside a capo di una scuola-azienda. La stessa che Renzi ha auspicato per sé imponendo l’Italicum. I miti fondatori della sua «narrazione», cioè il decisionismo, l’aziendalismo e la «pedagogia del capo», sono al centro di una riforma della scuola che autorizzerà i presidi a «individuare» dagli albi territoriali triennali i docenti di loro gradimento, introducendo nella scuola il sistema corruttivo dello spoil system o quello nepotistico che governa l’università italiana. Un rischio denunciato da Flc-Cgil, Cisl e Uil scuola, Snals, Gilda e Cobas (che a Roma erano al Miur e poi in un presidio a Montecitorio).
Sul senso delle proteste il governo fa lo gnorri. «Perché uno sciopero di queste dimensioni non si vedeva da sette anni ?» si è chiesta ieri la ministra dell’Istruzione Giannini (Pd), colei che ha definito «squadristi» i docenti che l’hanno contestata a Bologna e «corporativi» tutti coloro che si oppongono alla sua riforma. Per Giannini il preside è «un leader educativo» e le ricostruzioni fatte in questi giorni sarebbero «fantasiose». Le assunzioni dei docenti precari porteranno «il precariato alla sua dimensione fisiologica del 2,5%». Percentuali senza fondamento, visto che da quelle previste (alla presentazione della «Buona Scuola» a settembre erano 148.100) sono stati esclusi almeno altri 100 mila aventi diritto, senza contare i precari tra il personale Ata cancellati dalla «riforma». Affermazioni che giustificano la richiesta di dimissioni avanzata ieri dai sindacati.
La conflittualità dei sindacati più rappresentativi della scuola è il prodotto di una spinta dal basso da parte dei docenti e dei precari che, dopo mesi di tentennamenti, li hanno spinti ad una mobilitazione tardiva. Se avessero dichiarato uno sciopero generale al mese, da ottobre a oggi, a Renzi avrebbero sottratto tempo e spazio per la sua «narrazione». Non l’hanno fatto e oggi scoprono il conflitto. Alcune organizzazioni hanno paventato il blocco gli scrutini a giugno. Un’azione clamorosa, se decideranno di andare fino in fondo. Altra questione politica non secondaria è la richiesta di ritiro del Ddl emersa ieri dal mondo della scuola. Quanto incideranno sulla determinazione dei sindacati gli emendamenti che saranno approvati alla Camera su spinta del Pd?
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