by redazione | 10 Maggio 2015 12:15
La novità politica emersa ieri dalla marcia per il “reddito di cittadinanza” da Perugia ad Assisi è la disponibilità del Movimento Cinque Stelle a trattare su una proposta unica insieme a Sel e al Pd nella commissione lavoro al Senato. È stato Luigi Di Maio, uno dei componenti del «direttorio» M5S, ad aprire alla trattativa con Pd e Sel che hanno presentato proposte analoghe sul «reddito minimo» all’inizio della legislatura, nel 2013. I contatti, in realtà, esistono da tempo e il percorso in direzione di un disegno di legge condiviso è stato sollecitato anche dalla campagna per un reddito di dignità sostenuta da Libera, il Basic-Income Network-Italia (Bin) e il Cilap. Nuova è la disponibilità dei Cinque Stelle. «L’importante è che non si annacqui la proposta: 780 euro mensili da garantire a chi ne può usufruire. E non è un capriccio, ma è la cifra indicata dall’Unione Europa per stare sopra la soglia minima di povertà» ha aggiunto Di Maio all’inizio di una marcia di 19 chilometri alla quale hanno partecipato 50 mila persone (stima degli organizzatori). Il lungo corteo ha ripercorso il tragitto della manifestazione sulla pace ideata da Aldo Capitini ed è terminato a Santa Maria degli Angeli, e non alla Rocca della città di San Francesco, com’è tradizione.
La cifra indicata da Di Maio non è casuale. Corrisponde al massimale della forbice prevista da una raccomandazione Ue che ha fissato l’importo del reddito minimo garantito al 60% del reddito mediano di un paese membro. Per l’Italia la cifra è compresa tra i 650 e i 780 euro. Un importo analogo, tra i 600 e i 650 euro, è stato fissato nella proposta di legge di Sinistra Ecologia e Libertà. Questo testo ha raccolto l’eredità della proposta di legge di iniziativa popolare per l’istituzione del reddito minimo garantito sostenuto dalla mobilitazione di 170 associazioni e movimenti che raccolsero oltre 50 mila firme nella primavera del 2013.
La posizione di Di Maio conferma, come sostengono ad esempio Il Manifesto o il Consiglio direttivo del Bin-Italia, che in Italia esiste una maggioranza parlamentare Pd-M5S-Sel (una «larga intesa sul reddito») capace di approvare una misura fondamentale contro la povertà, la precarietà e la disoccupazione. Il nostro, va ricordato, è l’unico paese europeo insieme alla Grecia a non contare su questo strumento. Se, e quando, sarà approvato ci si augura che non sia un dispositivo poliziesco (il cosiddetto «workfare») irrispettoso della dignità, delle competenze e della storia di un individuo. Considerata la cultura politica di chi è al governo, purtroppo i rischi ci sono tutti.
Per il momento si raccolgono i segnali di un cambiamento sulla scacchiera. Alla presa di posizione dei Cinque Stelle, ieri ha fatto eco la disponibilità di Roberto Speranza, esponente di una delle minoranze Pd, «Area riformista»: «Apriamo subito un tavolo di lavoro sul reddito minimo – ha detto l’ex capogruppo Pd alla Camera — Sulla lotta alla povertà contano i fatti, non servono le bandierine di parte». Ad «Area riformista» è stata attribuita una confusa proposta di «sussidio universale di disoccupazione», non di «reddito minimo garantito», uno strumento ben diverso ma complementare. Questa ipotesi sarebbe stata fatta propria dal Partito Democratico.
Il tenore dell’affermazione di Speranza non è piaciuto al leader dei Cinque Stelle Beppe Grillo: «Non commento il nulla – ha detto — Sarebbe un tavolo di lavoro con cassaintegrati della cultura politica. Sono da vent’anni lì che promettono e non hanno combinato nulla». «Grillo come al solito scappa e offende pur di sfuggire a qualsiasi confronto su proposte concrete. Ma non lo facciano i parlamentari M5S» gli ha risposto Nico Stumpo (Pd, della stessa “area” di Speranza). A confermare un’ipotetica volontà di dialogo sul reddito è intervenuta la ministra per le riforme Maria Elena Boschi: «Se tutti restano fermi su posizioni che sono ottimi slogan da campagna elettorale ma che poi non portano a niente chi ci rimette sono i cittadini, soprattutto quelli che hanno votato il M5S». Secondo Boschi, il Pd avrebbe mantenuto un «dialogo» sulla legge elettorale o sulle riforme costituzionali. Affermazioni elettoralistiche, e dunque inverosimili, ideali per aizzare una cagnara mediatica, non per sbrogliare un nodo politico di difficile soluzione.
Tra Grillo che manda tutti a quel paese, e il Pd che provoca sui limiti della dirigenza dei Cinque Stelle, Di Maio (M5S) ha cercato di recuperare le fila di una tattica parlamentare: «Il tavolo c’è già, è in commissione lavoro del Senato. Si muovano — ha risposto a Speranza — Basta che non snaturino la cifra di 780 euro, siamo disponibili al dialogo». «Ora insieme in Parlamento possiamo vincere la battaglia di dignità per il #redditominimo: ci sono i numeri per approvare la legge. Noi ci siamo e siamo pronti» ha confermato su twitter Nichi Vendola (Sel). I risultati di questa giornata dovrebbero emergere nell’ufficio di presidenza della commissione lavoro al Senato dove ci sono i numeri per definire una proposta di testo unificato da parte delle forze che hanno presentato le tre proposte di legge sul reddito minimo.
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