by redazione | 13 Maggio 2015 9:20
Per Philip Luther, direttore per l’Africa del Nord e il Medioriente, è inutile bombardare gli scafisti senza predisporre rotte alternative e sicure. Appello a Tunisia ed Egitto affinché aprano le frontiere per accogliere i rifugiati
Quand’anche l’Europa trovasse un accordo per bombardare l’obiettivo sbagliato — lo scafista, dipinto come il male assoluto — il “problema” in Libia non sarebbe risolto. Non si arresterebbe la conta dei morti (i migranti moriranno lontano dal canale di Sicilia, se può essere di consolazione) e certamente non terminerebbero le sofferenze per migliaia di persone che fuggono da fame e guerre. “Implementare misure per contrastare i trafficanti senza fornire un’alternativa alle persone che scappano dal conflitto in Libia non risolverà la piaga dei migranti”, dice il direttore di Amnesty International per il Medio Oriente e Nord Africa Philip Luther.
Non sono lamentose considerazioni, è la realtà che Amnesty International ha indagato con il suo nuovo rapporto intitolato “La Libia è piena di crudeltà”. Si leggono i motivi politici e storici che spingono i migranti a sfidare la morte nel Mediterraneo per arrivare in Europa — niente che non sia già noto a Federica Mogherini e ai ministri della Ue — ma anche diverse testimonianze di abusi, violenze sessuali, torture e persecuzioni religiose. Il testo contiene anche un appello alla Tunisia e all’Egitto affinché allarghino le maglie alle frontiere per permettere a migranti di lasciare la Libia (trafficanti e bande criminali hanno rubato i loro passaporti e anche per questo non possono fare altro che imbarcarsi per lasciare il paese).
Le indicibili condizioni in cui si trovano i migranti insieme alla crescente assenza di legalità e ai conflitti armati in corso nel paese — dice Philip Luther — rendono evidente quanto sia pericoloso oggi vivere in Libia. Senza percorsi legali per fuggire e cercare salvezza, queste persone sono costrette a mettersi nelle mani dei trafficanti, che le sottopongono a estorsioni, attacchi e altri abusi”. Il rapporto non fa sconti alla comunità internazionale, accusata di essere rimasta a guardare la Libia “discendere nel caos” dopo la fine dell’intervento della Nato del 2011. Ormai è diventato il principale paese di transito per i rifugiati in fuga dai conflitti dell’Africa sub sahariana e del Medioriente. Non è più possibile chiudere gli occhi, dice l’associazione, e limitarsi a distruggere le imbarcazioni dei trafficanti senza predisporre rotte alternative e sicure e senza “adottare misure concrete per affrontare le gravi violazioni dei diritti umani e del diritto umanitario commesse da tutte le parti coinvolte nel conflitto libico”.
I rifugiati di religione cristiana sono i più a rischio. Provengono da Nigeria, Eritrea, Etiopia ed Egitto. Sono stati rapiti, torturati, uccisi e perseguitati. “Ultimamente — si legge nel rapporto di Amnesty International — almeno 49 cristiani, per lo più provenienti dall’Egitto e dall’Etiopia, sono stati decapitati o fucilati in tre esecuzioni sommarie di massa rivendicate dal gruppo Stato islamico”. Non è difficile raccogliere testimonianze come quella di Charles, un cristiano nigeriano di trent’anni aggredito da una banda criminale lungo le coste libiche: “Arrivavano, ci rubavano i soldi e ci frustavano. Non potevo far presente alla polizia il mio credo cristiano perché quelli come noi non gli piacciono. Nell’ottobre del 2014 sono stato sequestrato da quattro uomini armati che si erano accorti che avevo con me una bibbia”. Lo hanno torturato per due giorni, poi è riuscito a scappare da una finestra. Questo per dire che “i leader europei devono assicurare che i migranti in fuga non siano mai rimandati indietro in Libia”.
Le persecuzioni lungo le rotte dei trafficanti non sono solo di natura religiosa. I migranti che provengono dalle zone sub sahariane, compresi i minori, durante il tragitto “vengono torturati per costringere loro e le loro famiglie a pagare un riscatto”. Chi non può ricevere denaro viene ridotto in schiavitù. Le donne, soprattutto quelle che viaggiano sole, rischiano di essere stuprate, “vengono obbligate a fare sesso in cambio del rilascio o del permesso di proseguire”. Ci sono molte testimonianze. “Mi hanno portato fuori città — ha raccontato una nigeriana — hanno legato mio marito a un palo per le mani e le caviglie e mi hanno stuprato davanti ai suoi occhi, erano in tutto undici”. Con l’arrivo in Libia, in attesa di salpare su qualche imbarcazione di fortuna, la situazione non cambia. I migranti vengono segregati anche tre mesi in case diroccate, senza acqua né cibo. Alcuni rifugiati siriani hanno raccontato di essere stati trasportati in furgoni frigoriferi in cui passava poca aria: “Due bambini hanno iniziato a soffocare e hanno smesso di respirare, i genitori li schiaffeggiavano per fargli riprendere conoscenza. Noi battevamo sulle pareti ma l’autista non si fermava, in seguito i bambini si sono ripresi”. Infine, i centri di detenzione per i migranti, “le cui condizioni sono terribili e in cui la tortura è la regola”. Percosse quotidiane, “con tubi di gomma dietro le cosce”, e stupri ripetuti per mesi. Le autorità libiche “devono immediatamente porre fine alla sistematica detenzione di migranti”, conclude Philip Luther.
Amnesty International, all’Europa, “ai paesi ricchi”, chiede di più: “Il mondo non può continuare ad ignorare il suo obbligo di concedere asilo a chiunque fugga da tale abuso terribile”.
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