La falce del governo taglia la marijuana terapeutica
Nemmeno il tempo di ottenere il primo raccolto, e la produzione italiana di cannabis terapeutica è già in fase di declino. Con buona pace delle 11 Regioni che hanno già approvato una legge per garantire ad un gran numero di pazienti la gratuità dei farmaci a base di Thc. Il primo passo è stato siglato venerdì sera con la nota ufficiale del commissario nominato dal ministero delle Politiche agricole recapitata al Cra-Cin (l’ente pubblico di ricerca e sperimentazione in agricoltura e per le colture industriali) di Rovigo per annunciarne la chiusura, a causa dei tagli imposti dalla spending review avviata ad ottobre scorso dal governo Renzi.
Il centro di ricerca rodigino è l’unico luogo in Italia dove la marijuana può crescere legalmente perché la coltivazione avviene a scopo scientifico, ed è da lì che provengono le piantine fornite allo Stabilimento chimico farmaceutico militare di Firenze, dove da ottobre 2014 è stata avviata — con grande enfasi dei ministri Lorenzin e Pinotti — la produzione sperimentale del primo farmaco italiano equivalente al Bediol, attualmente importato dall’Olanda per le centinaia di pazienti italiani (si stima il 5% della popolazione) che ne hanno bisogno.
Quella di Rovigo è una delle sedi del Cra da tagliare, secondo il «piano triennale per il rilancio e la razionalizzazione delle attività di ricerca e sperimentazione in agricoltura» a cui sta lavorando il commissario ad hoc Salvatore Parlato, nominato appena pochi mesi fa, proprio mentre si inaugura l’Expo e si punta al «rilancio dell’agricoltura italiana».
Al ministero dell’Agricoltura, però, tengono a puntualizzare che il problema delle «articolazioni territoriali» del Cra — che secondo il piano andrebbero ridotte di «almeno il 50%», insieme alle spese correnti dell’ente da tagliare di «almeno il 10%» — sta «nell’inadeguatezza degli immobili rispetto agli obiettivi della ricerca». Comunque, assicurano le fonti di via XX Settembre, «la proposta del commissario non è ancora stata approvata dal ministro». E «in ogni caso, il know how dei centri di ricerca non andrà perso».
E invece Gianpaolo Grassi, primo ricercatore del Cra di Rovigo, «un centro che ha cento anni di storia, fondato nel 1912 dall’agronomo Ottavio Munerati», è preoccupato: «Così salta la sperimentazione italiana della cannabis terapeutica perché lo stabilimento di Firenze, che è l’unico autorizzato a trasformare la pianta in farmaco, non avrà un secondo raccolto, dopo il primo previsto per il prossimo giugno e ottenuto con le 80 piantine selezionate da noi in dieci anni di studi». «Purtroppo non abbiamo avuto l’autorizzazione a produrre noi direttamente il farmaco, malgrado ne abbiamo il know how. Abbiamo invece dovuto istruire i tecnici dello Stabilimento militare di Firenze».
Nel centro di Rovigo, sede distaccata del Cra di Bologna, uno staff di nove persone tra ricercatori, tecnici, amministrativi e agricoltori lavora «su un campo sperimentale di 60 ettari, serre e laboratori per un investimento complessivo di 2 milioni di euro — riferisce Grassi — ma se lo dovessimo costruire oggi costerebbe almeno 3 milioni». Ovviamente non lavorano solo sulla canapa: è in capo a loro, per esempio, il servizio di certificazione sementi. Ma l’istituto veneto è diventato un centro di rilevanza internazionale nello studio della canapa indica con o senza Thc.
«Dovrebbero rafforzare il programma, invece di ridurlo — conclude Grassi — Nello stabilimento di Firenze è prevista una produzione, a pieno regime, di cento chili l’anno, che equivale al fabbisogno di un centinaio di pazienti, non di più. E invece, tanto per fare un esempio, solo nell’unità antalgica dell’ospedale pubblico di Pisa, il dottor Paolo Poli che lo dirige nell’ultimo anno ha trattato con farmaci a base di cannabis 500 pazienti, e il numero è in crescita».
D’altronde, è difficile emanciparsi totalmente dalla cultura proibizionista — da noi imperante e nel resto dell’occidente ormai quasi residuale — che ha finito per rendere la marijuana la pianta più demonizzata in Italia. Come denuncia da tempo la segretaria dei Radicali italiani, Rita Bernardini, mostrando urbi et orbi le «cinquanta piante di marijuana che ho sul terrazzo ma nessuno mi arresta, mentre le carceri sono piene di persone che hanno fatto, in questo campo, molto meno di me».
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