Isis conquista Ramadi I jihadisti sconfitti dai siriani a Palmira
by redazione | 18 Maggio 2015 9:20
GERUSALEMME Gli ultimi poliziotti e militari si erano trincerati nel quartier generale della città e nel palazzo di fronte, un tribunale. Sono fuggiti anche loro, come gli oltre 8 mila civili. «Ramadi è caduta» ha ammesso il portavoce del governatore. E con la capitale lo Stato Islamico estende il controllo sulla provincia irachena di Anbar.
I morti nei combattimenti sono già cinquecento, l’avanzata dei miliziani in nero non è stata fermata neppure dai bombardamenti americani. Adesso le truppe del Califfato sono anche rafforzate dagli armamenti recuperati nel centro di comando, tank e mezzi blindati.
Il governo iracheno sta preparando la controffensiva. Il premier Haider Al Abadi ha annunciato di voler inviare le milizie sciite che dovrebbero combattere a fianco dell’esercito regolare come è già successo per la riconquista di Tikrit. La provincia di Anbar è strategica, i suoi confini arrivano fino ai dintorni di Bagdad. La maggioranza delle tribù è sunnita, come gli estremisti dello Stato Islamico: l’intervento dei commando sponsorizzati e addestrati dall’Iran potrebbe creare tensioni con i capiclan locali, che li considerano quasi invasori stranieri.
L’assalto degli uomini del Califfo è stato invece respinto a Palmira, dall’altra parte della frontiera. La televisione del regime siriano diffonde le immagini delle meraviglie archeologiche, patrimonio dell’Unesco, il governatore della provincia di Homs rassicura che la zona «è stata ripulita» e le colonne, gli archi, i monumenti dell’antica oasi a nord-est di Damasco «non sono stati toccati».
In due giorni di battaglia — calcola l’Osservatorio siriano per i diritti umani, organizzazione che si basa su una rete di attivisti locali — i morti sono oltre 315: i soldati dell’esercito (123) e le truppe agli ordini del Califfo (135). Tra le vittime anche 57 civili, per la maggior parte freddati per strada dagli estremisti.
La minaccia su Palmira resta, lo Stato Islamico si sarebbe ritirato a pochi chilometri di distanza. Come ai tempi dell’impero romano la città è la porta di passaggio tra l’Est e l’Ovest, qui corre l’autostrada principale che unisce le due parti della Siria, le milizie sunnite vogliono premere verso la capitale, la fortezza di Assad.
L’obiettivo è anche raggiungere Homs, tagliare in due il corridoio di sicurezza che dall’inizio della guerra quattro anni fa il regime sta cercando di mantenere: sono le regioni al confine con il Libano che uniscono Damasco con Latakia, il porto sul Mediterraneo abitato dagli alauiti, la minoranza che controlla il Paese da oltre quarant’anni.
Se Damasco cadesse, diventerebbe l’ultimo bastione del clan al potere.
Davide Frattini