In Cascina Triulza presentato il manifesto “Terra Viva”

by redazione | 3 Maggio 2015 17:51

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Il Padiglione della Società Civile ha voluto aprire il suo programma culturale con un evento particolarmente significativo, a cui hanno preso parte Vandana Shiva, presidente di Navdanya International, Don Luigi Ciotti, Presidente di Libera, Maurizio Martina, Ministro delle Politiche Agricole, Ugo Biggeri, Presidente di Banca Etica ed Etica Sgr, Sabina Siniscalchi, Vicepresidente Vicario Fondazione Triulza

Al suolo urbanizzato entro il 2030 si aggiungerà una città estesa come tutto il Sudafrica. La terra fertile è stata erosa a una velocità tra le 10 e le 40 volte superiore alla sua capacità di rigenerazione. Il 40% delle guerre degli ultimi 60 anni è stato causato da clima, suolo, risorse. La guerra siriana e il terrorismo di Boko Haram sono figli anche dei mutamenti climatici.

L’attuale modello agricolo industriale ha fallito. Del tutto compenetrato con il modello economico dominante, fondato sempre sulla sottrazione e mai sul ritorno, su processi economici che distruggono la vita, portano all’estinzione di specie animali e vegetali e conducono al collasso gli ecosistemi. Un modello realizzato per il profitto di pochi, causa di squilibri economici, di pericolosa instabilità, di disperata povertà, di fame e disoccupazione. Per la prima volta nella storia dell’umanità il futuro della specie umana non è più certo: le calamità climatiche, i conflitti e le guerre ci spingono verso il collasso ecologico, economico e sociale.

Oggi siamo arrivati all’ultima chiamata per scegliere un’altra strada. Una strada basata sulla cittadinanza globale e sulla condivisione delle risorse, che punti a un’economia circolare fondata sulla rigenerazione delle risorse. L’agricoltura ha un ruolo determinante in questa nuova visione. La nuova agricoltura restituisce fertilità al terreno attraverso metodi biologici. Assicura prezzi giusti agli agricoltori in modo che possano restare sulle loro terre per continuare a produrre cibo per i cittadini e le comunità. Sostituisce il processo lineare di sfruttamento del suolo e delle risorse con un processo circolare di restituzione che garantisce la resilienza, la sostenibilità, la giustizia e la pace. Questa nuova agricoltura è parte di un processo che punta a ridefinire il concetto di democrazia e libertà. E’ un’agricoltura che può generare una nuova economia e una nuova democrazia: la democrazia della Terra.

E’ questo il cuore del messaggio contenuto nel Manifesto Terra Viva, presentato oggi a Cascina Triulza da Navdanya International, Banca Etica e Fondazione Triulza.

 “Terra Viva” è un documento di analisi e di denuncia, ma soprattutto di proposta su come superare il paradigma dell’economia lineare estrattiva in favore di quella circolare rigenerativa, per guidare non solo la gestione dell’ambiente e dell’agricoltura, ma tutte le scelte economiche e sociali. Il manifesto Terra Viva è frutto del lavoro e dell’elaborazione – guidata dall’ambientalista Vandana Shiva – di un panel di ricercatori ed esperti provenienti da tutto il mondo, fra i quali Luc Gnacadja, ex segretario della Convenzione Onu di lotta alla desertificazione; Andrea Baranes, economista; Nnimmo Bassey, premio Nobel alternativo

“L’economia, che è parte della società, è stata posta al di sopra della società, al di fuori del controllo democratico – commenta Vandana Shiva, leader di Navdanya International Il benessere delle persone e delle comunità è stato sostituito dal benessere delle multinazionali, mentre la produzione reale è stata rimpiazzata dall’astratta moltiplicazione del capitale. Il risultato è la scomparsa della democrazia e l’aumento degli squilibri economici. C’è bisogno di un nuovo patto che riconosca che noi siamo il suolo: veniamo dal suolo, siamo sostenuti dal suolo. Prendersi cura della terra è il lavoro più importante che gli agricoltori possano fare. Il messaggio che lanciamo dall’importante vetrina di Expo è forte e chiaro: la nuova democrazia è la democrazia della Terra”.

MANIFESTO TERRA VIVA

Scheda

La corsa al suolo

Il processo di consumo del suolo è devastante e sta subendo un’accelerazione drammatica. Negli ultimi due secoli ilcambiamento dell’uso dei suoli ha trasformato la biosfera producendo il 20% delle emissioni di anidride carbonicae la scomparsa o la conversione ad altri usi del 70% delle praterie, del 50% delle savane, del 45% delle foreste temperate decidue, del 27% del bioma delle foreste tropicali. Entro il 2030 è prevista una crescita dell’area urbana pari a 1,2 milioni di chilometri quadrati: si tratta di una superficie equivalente a quella del Sudafrica, 3 volte quella urbanizzata nel 2000.

L’incontrollata espansione dell’area antropizzata riduce la quantità di terreno fertile a disposizione dell’umanità, con conseguenze che stanno diventando sempre più gravi. Un ettaro di suolo contiene 15 tonnellate di organismi viventi: 1,5 chili per metro quadro. E’ un dato che non andrebbe sottovalutato perché nel suo insieme il suolo conserva una quantità di carbonio molto superiore rispetto all’atmosfera e indebolire la sua vitalità significa minacciare la stabilità climatica. Eppure negli ultimi decenni è stato di fatto ignorato: il suolo fertile è stato eroso a una velocità tra le 10 e le 40 volte superiore alla capacità di rigenerazione. Perdiamo 24 miliardi di tonnellate di humus – il suolo fertile – all’anno e per ricostruirne uno strato da 2,5 centimetri ci vogliono circa 5 secoli.

Il ventesimo secolo è stato dominato da un modello di agricoltura industriale derivato da tecnologie chimiche nate a fini bellici e centrato sui prodotti chimici e sui combustibili fossili. Quell’agricoltura è responsabile della perdita del 75% dell’acqua, del suolo e della biodiversità, è uno dei principali responsabili dell’effetto serra e dell’aumento della disoccupazione. E’ un sistema che non mira alla produzione di alimenti ma alla produzione di commodities, con l’80% dei cereali che viene trasformato in biofuel o mangimi per l’allevamento.

 

Land grabbing

La dimensione dei terreni abbandonati a causa dell’uso insostenibile è uguale alla somma della superficie degli Stati Uniti e del Canada (2 miliardi di ettari) ed è maggiore della superficie globale attualmente occupata dall’agricoltura. Milioni di ettari di terra fertile che in tutto il mondo permettono la sussistenza di intere comunità stanno cadendo sotto il dominio delle multinazionali e di alcuni Stati che cercano al di fuori dei propri confini le risorse non più disponibili al loro interno.  E’ uno scenario che ripete in maniera drammatica una pagina nota della storia. Tra il 1770 e il 1830 il Parlamento inglese votò 3.280 norme (gli enclosures acts) per legittimare le privatizzazioni di terre che fino a quel momento erano state gestite dalle comunità: 2,4  milioni di ettari di campi, paludi, boschi vennero recintati e trasformati in beni a disposizione di pochi.

Oggi le multinazionali, supportate dai sussidi pubblici si stanno impossessando delle terre dei piccoli coltivatori (che a livello globale producono il 70% degli alimenti che consumiamo) causando una nuova ondata di massicce spoliazioni di poveri.

 

Aumentano i conflitti sociali e le guerre

La connessione tra danni ambientali da una parte e squilibri sociali e conflitti dall’altra è allarmante. La percentuale di ricchezza posseduta dall’1% più abbiente della popolazione mondiale è passata dal 44% del 2009 al 48% del 2014. Il patrimonio delle 300 persone più ricche vale 524 miliardi di dollari, più della somma del Pil dei 29 Paesi più poveri. E quello delle 85 persone più ricche è uguale a quello di 3,5 miliardi di persone.

Inoltre, secondo i dati elaborati della Convenzione per la lotta contro la desertificazione analizzando un periodo di 60 anni, il 40% dei confitti all’interno degli Stati è collegato a una tensione nata dal controllo delle risorse naturali e della terra. E nel 2007 l’80% dei maggiori conflitti armati è avvenuto in ecosistemi resi vulnerabili dalla carenza di acqua. Ad esempio prima dell’esplosione delle tensioni in Siria, nel 2011, il Paese aveva subito una siccità estremamente severa e prolungata e la perdita dei raccolti. Anche il movimento estremista di Boko Haram si è sviluppato in un’area di forte crisi ecologica, nella zona del lago Chad, ridotto all’ombra di quello che era: in molte zone del Nord della Nigeria i pastori musulmani sono in competizione con gli agricoltori cristiani per il controllo delle sempre più scarse risorse idriche. Uno scenario analogo a quello del Mali e del Sudan.

 

Una nuova agricoltura per il clima e la pace

Come abbiamo visto i segnali di allarme si moltiplicano. Ma esiste la possibilità di scegliere un’altra strada: quella basata sulla cittadinanza globale e sulla condivisione delle risorse, abbandonando la logica dello sfruttamento progressivo a favore dello sviluppo circolare fondato sulla rigenerazione delle risorse.

Secondo l’Unccd (la Convenzione per la lotta contro la desertificazione), è possibile recuperare 2 miliardi di ettari di terreno degradato: un’operazione che comporterebbe l’assorbimento di 3 miliardi di tonnellate di carbonio all’anno, il 30% del carbonio emesso bruciando combustibili fossili. La conversione verso l’agricoltura organica è la strada maestra per combattere l’erosione e l’impoverimento del suolo.

E’ una svolta necessaria e urgente. Le Nazioni Unite hanno proclamato il 2015 “Anno internazionale dei suoli” per rendere tutti consapevoli del ruolo cruciale che i suoli giocano nella sicurezza alimentare, nella lotta contro il cambiamento climatico, nei servizi ecosistemici essenziali, negli sforzi per ridurre la povertà e incentivare lo sviluppo sostenibile.

La nuova agricoltura, che si sviluppa nel Pianeta attorno al ruolo centrale delle donne, dà un contributo essenziale in questa direzione perché rovescia lo schema degli ultimi decenni: invece di essere un assorbitore di energia la produce, invece di contribuire alla crescita dell’effetto serra la frena. L’agricoltura biologica ha la possibilità di catturare ogni anno 2 tonnellate di CO2 per ettaro: è una formidabile arma per centrare l’obiettivo del contenimento della temperatura entro i 2 gradi di aumento.

 

La democrazia della Terra

La vita e la sua vitalità in natura come nella società è basata su cicli di rinnovamento e rigenerazione reciproca, di rispetto e solidarietà.  Il rapporto tra il suolo e la società dovrebbe essere basato sulla reciprocità, sulla Legge del Ritorno, del dare indietro. Il modello agricolo industriale ha completamente disatteso questo modello. Una nuova agricoltura fondata sul rispetto del suolo è la premessa fondamentale per passare dal paradigma dell’economia lineare estrattiva in favore di quella circolare rigenerativa. Da questa nuova agricoltura può generarsi una nuova economia e una nuova democrazia.

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