by redazione | 28 Maggio 2015 10:20
Un Paese che negli anni della crisi non ha investito sui giovani, né sulla loro formazione né sulla loro “occupabilità”, e che così adesso che la ripresa sarebbe arrivata (condizionale d’obbligo) si ritrova con un esercito ingovernabile di disoccupati e Neet, fanalino di coda di tutte le grandi democrazie industriali. Il quadro, tutto negativo per l’Italia, lo traccia l’Ocse, nel suo studio Skills Outlook (Rapporto sulle competenze, riferito a dati del 2012/2013): una cifra parla per tutti, il crollo a partire dal 2007 dell’occupazione giovanile, precipitata di quasi 12 punti, dal 64,3% al 52,7%, con il risultato che in questa poco lusinghiera classifica siamo secondi solo alla Grecia (48,4%, e un calo che è il doppio del nostro: –23,9%).
Ora è certamente difficile trovare un nesso diretto tra la mancanza di formazione dei ragazzi e la loro difficoltà a trovare un’occupazione, molto dipende tanto anche dal mercato del lavoro, dalle politiche di sviluppo messe in atto da uno Stato, ma un qualche tipo di legame è innegabile, e l’Ocse lo esplicita, sia con i dati che con una successiva analisi.
L’Italia, spiega l’organizzazione che ha sede a Parigi, è il Paese Ocse con la maggior percentuale di giovani in età lavorativa (16–29 anni) e adulti (30–54) con scarse competenze di lettura, rispettivamente il 19,7% e il 26,36%. Inoltre, abbiamo la percentuale più elevata di persone con scarse abilità in matematica tra gli adulti, il 29,76%, e la seconda tra i giovani in età lavorativa, il 25,91%, dietro agli Usa (29,01%). Medaglie d’oro e d’argento davvero poco invidiabili.
In generale, riferisce la tabella Ocse per la misurazione dell’«occupabilità» degli under 30, il nostro Paese è al di sotto della media per le competenze dei giovani, i metodi di sviluppo di questi skills negli studenti e la promozione del loro utilizzo sul posto di lavoro.
Ma mica è finita qua: l’Italia è seconda tra i paesi Ocse per percentuale di giovani under 25 che hanno abbandonato la scuola prima di aver terminato le superiori, e non stanno seguendo un altro tipo di educazione, il 17,75%, dietro la Spagna con il 23,21%. L’abbandono scolastico, rileva sempre l’Ocse, ha un impatto significativo sulle competenze: se si considera per esempio la matematica, la percentuale di persone con competenze insufficienti è del 58,5% tra chi non ha terminato le superiori, e scende al 27,7% per chi ha ottenuto un diploma.
Facile pensare che in un panorama tanto desolante di abbandoni scolastici in aumento, scarsa acquisizione delle competenze e un mercato del lavoro che spesso non assorbe neanche i più bravi, molti si perdano per strada, scegliendo (o forse sentendosi quasi costretti dalle avversità) di andare a ingrossare il già vasto esercito dei Neet. I ragazzi, cioè, not in education, employment or training: non in formazione, né occupati o impegnati in un apprendistato.
I Neet rappresentano in Italia sono il 26,09% degli under 30, quarto dato più elevato tra i Paesi Ocse. All’inizio della crisi, nel 2008, erano il 19,15%, quasi 7 punti in meno. Nell’insieme dei Paesi Ocse, i Neet erano oltre 39 milioni a fine 2013, più del doppio rispetto al 2007.
La crisi ha quindi alimentato il senso di rinuncia e scoraggiamento, e oggi quindi raccogliamo pessimi frutti. Tra i giovani Neet italiani, il 40% ha abbandonato la scuola prima del diploma secondario superiore, il 49,87% si è fermato dopo il diploma e il 10,13% ha un titolo di studi universitario. La percentuale di Neet è più elevata tra le ragazze (27,99%) rispetto ai ragazzi (24,26%).
I dati «confermano una cosa tristemente nota — commenta la leader della Cgil, Susanna Camusso — Il nostro Paese ha perso circa un quarto della sua attività produttiva. A questo consegue uno stock di disoccupazione di lungo periodo, con quella giovanile molto alta, cui nessuna legge sul mercato del lavoro riesce a rispondere se non si mette mano agli investimenti, alla creazione di lavoro e al sistema pensionistico».
«I dati Ocse smentiscono i falsi slogan di Renzi sull’aumento dell’occupazione giovanile — dicono i senatori M5S — Ci preoccupa molto l’aumento dei giovani inattivi che non sono occupati, né ricevono alcuna formazione: problema che potrebbe essere contrastato anche con l’introduzione di misure come il Reddito di cittadinanza diretto a promuovere la formazione, la riqualificazione ed il reinserimento nel mondo del lavoro».
Maurizio Sacconi (Ncd) trova le cause della disoccupazione giovanile nel «disastro educativo». Ma per Sel sbaglia: «Frutto delle vostre politiche recessive».
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