Giallo sulla morte del vice Califfo

Giallo sulla morte del vice Califfo

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WASHINGTON È la verità. Oppure è solo un annuncio per contrastare la propaganda dell’Isis. Per ora c’è quanto sostiene il governo iracheno: un raid della coalizione ha ucciso Abu Alaa Al Afri, numero due del movimento islamista, sorpreso in una moschea. Un personaggio che — stando ad altre rivelazioni — avrebbe assunto la guida dello Stato Islamico in seguito al ferimento del Califfo. Diversa la valutazione del Pentagono: «Non abbiano elementi che lo confermino e non c’è stato alcun attacco a una moschea» ha comunicato il Comando centrale. Due versioni in un quadro, al solito, incerto.
A innescare il nuovo mistero sono state le fonti della Difesa a Bagdad. In una dichiarazione ufficiale hanno spiegato come gli aerei della coalizione abbiano sorpreso Al Afri e altri dirigenti all’interno di una moschea ad Al Iyadhiya, vicino Tal Afar, località dove il leader ha insegnato e vissuto. Con lui sarebbe morto Akram Karbash, responsabile della Giustizia. Un attacco reso possibile da informazioni fornite da qualcuno che era a conoscenza del summit. A corredo della ricostruzione gli iracheni hanno fornito un video del bombardamento. È la prova? Per nulla. Trascorse diverse ore è arrivata la precisazione del Pentagono — di fatto una smentita — e quella del ministero dell’Interno locale, «non ne sappiamo nulla». Si è così riproposta la situazione di una settimana fa.
Al Afri — scriveva il quotidiano The Guardian — ha preso il posto di al Baghdadi, dopo che il leader supremo è rimasto gravemente ferito in un raid aereo avvenuto alla metà di marzo. Ex insegnante, con un passato in Afghanistan e poi al fianco di al Zarqawi in Iraq, autore di testi religiosi e stratega, Abu Alaa si è costruito un ruolo importante. Forse era destinato a capitanare lo Stato Islamico già nel 2010, ma la Shura — il consiglio — ha spostato la sua scelta su al Baghdadi. Al Afri è rimasto allora come luogotenente, con incarichi militari, per poi assumere sempre maggiori responsabilità nell’Isis. Uno scenario pieno di ombre. Martedì, il Comando centrale americano ha ribadito come sia sempre il Califfo a comandare. Giudizio che non ha tolto valore al suo vice.
Gli Usa, infatti, hanno consacrato in qualche modo l’importanza di Al Afri. Giorni fa il dipartimento della Giustizia ha messo su di lui una taglia di 7 milioni di dollari. Una ricompensa in cambio di informazioni utili alla cattura (o eliminazione) dell’esponente jihadista originario della zona di Ninive. E appena venerdì sempre Al Afri ha preso il rischio di guidare la preghiera nella moschea di Mosul dove aveva predicato il Califfo. Se fosse vera la storia irachena vorrebbe dire che lo hanno tracciato? O qualcuno ha «cantato»?
Al tempo stesso è noto che il Pentagono, oltre a distruggere l’apparato militare dell’Isis, ha ampliato la caccia ai capi. È la seconda fase della campagna aerea. Droni, aerei da ricognizione e satelliti, uniti agli informatori, hanno raccolto i dati per ricostruire i movimenti dei possibili terroristi. Gli analisti hanno studiato i comportamenti, indagato su eventuali rifugi. La lista dei bersagli viene fornita al Pentagono dai centri di intelligence. Come la base di Shaw in South Carolina, dove i militari dell’Air Force esaminano video, foto, immagini d’ogni tipo per poi stilare i rapporti per i piloti delle missioni.È’ in questo modo che la coalizione ha centrato oltre 6.000 target. Bombardamenti che hanno arrecato danni all’Isis, spazzato via ufficiali, ma non fermato le capacità di offendere. In queste ore lo Stato Islamico continua la pressione militare. Gli ultimi attacchi segnalati sono nella regione di Palmyra, in Siria. Le capacità di sopravvivenza dell’Isis sono note.
Guido Olimpio


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