Expo, licenziamenti preventivi. Viminale nella bufera

Expo, licenziamenti preventivi. Viminale nella bufera

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«Vor­rei sem­pli­ce­mente sapere cosa ho fatto di male per non poter lavo­rare a Expo 2015». Anna, nome di fan­ta­sia, aveva fir­mato un con­tratto a tempo deter­mi­nato per lavo­rare sei mesi in uno dei padi­glioni di Expo. Ad aprile aveva par­te­ci­pato al periodo di for­ma­zione entrando anche nel sito espo­si­tivo in costru­zione. Il 30 aprile è stata licen­ziata: «ci dispiace» gli è stato detto dal respon­sa­bile per­so­nale del padi­glione «ma dal primo mag­gio — inau­gu­ra­zione di Expo — non può più entrare nel sito espo­si­tivo. E quindi dob­biamo licen­ziarla». Motivo? «La Que­stura di Milano le ha negato il pass per entrare nel sito». Ma è la Que­stura a deci­dere chi può lavo­rare den­tro a Expo e chi no? Chi gli ha affi­dato que­sto com­pito? Quali cri­teri e pro­ce­dure uti­lizza per fare que­sta pre­se­le­zione? E quanto è legit­timo tutto ciò? Un pro­blema di tra­spa­renza e pos­si­bile discri­mi­na­zione sui luo­ghi di lavoro, su cui i diretti inte­res­sati chie­dono chiarezza.

La sto­ria di Anna è simile a quella di altre decine di per­sone, «un cen­ti­naio» dicono dalla Cgil Milano, licen­ziate o a cui è stato negato il lavoro a Expo per­ché non hanno supe­rato il fil­tro di Pre­fet­tura e Que­stura. Ma fac­ciamo un passo indie­tro: come fun­ziona que­sto fil­tro di poli­zia? Cia­scuna azienda o Paese che lavora den­tro Expo deve man­dare alla Que­stura e alla Pre­fet­tura di Milano i dati ana­gra­fici di chi deve entrare nel sito espo­si­tivo per avere il pass che per­mette di acce­dere a Expo, il tutto tra­mite una pro­ce­dura infor­ma­tica gestita delle piat­ta­forme di Expo SpA. A que­sto punto entra in scena il fil­tro e decine di per­sone si sono viste rifiu­tare il pass senza alcuna spiegazione.

«Il parere di Que­stura e Pre­fet­tura non è vin­co­lante» spie­gano da Expo SpA, la deci­sione finale è dun­que in capo a Expo. Ma di fronte a un parere nega­tivo, fanno capire da Expo, nes­suno si assume la respon­sa­bi­lità di farli entrare. Sem­brano dun­que esserci ampi mar­gini di discre­zio­na­lità. Le rispo­ste arri­vate ai lavo­ra­tori esclusi, sono quasi tutte un copia-incolla di que­sto tipo: «le regole d’ingaggio per essere accre­di­tati a Expo 2015 sono dif­fe­renti da quelle di qua­lun­que altro evento, in quanto l’Expo è stata dichia­rata obiet­tivo sen­si­bile, non­ché sito di inte­resse stra­te­gico nazio­nale». E quindi? La domanda resta: chi decide chi può lavo­rare a Expo e chi no, e in base a quali cri­teri? C’è anche chi ha inviato il pro­prio casel­la­rio giu­di­zia­rio a Expo per pro­vare di essere incen­su­rato, ope­ra­zione inu­tile: «alle­gare visure o altri docu­menti non serve» è scritto ancora nella rispo­sta stan­dard «i con­trolli ven­gono fatti in altra sede uffi­ciale e sono le auto­rità di Poli­zia a gestire que­ste infor­ma­zione». Cri­teri di sele­zione oscuri sulla base di infor­ma­zioni riser­vate. E che devono restare tali, come ha detto il vice­mi­ni­stro dell’Interno Filippo Bub­bico a Radio Popo­lare: «Expo è un sito sen­si­bile, di rile­vanza stra­te­gica» ha spie­gato «ci sono delle atti­vità di pre­ven­zione i cui cri­teri non pos­sono essere resi noti per­ché per­de­reb­bero di efficacia».

Sem­pre a Radio Popo­lare sono andate in onda diverse testi­mo­nianze di chi si è visto negare il pass, e che ora tra­mite la Cgil di Milano, San Pre­ca­rio o pro­pri avvo­cati, stanno facendo par­tire cause legali con­tro Expo e le aziende che li hanno lasciati a casa. Testi­mo­nianze che par­lano di per­sone incen­su­rate e che, rac­con­tano, non si sen­tono di avere nulla a che fare con pro­blemi di «sicu­rezza nazio­nale». A meno che non si con­si­de­rino come tali l’aver lavo­rato con rifu­giati poli­tici, l’aver par­te­ci­pato a mani­fe­sta­zione con­tro la riforma Gel­mini nel 2008, l’aver fre­quen­tato cen­tri sociali o l’essere stato denun­ciato anni fa per scritte sui muri. Tutte cose venute in mente, guar­dando al pro­prio pas­sato, agli esclusi. Ma que­sto Pre­fet­tura e Que­stura non lo dicono. «Vogliamo sapere per­ché siamo stati licen­ziati e per­ché non pos­siamo lavo­rare a Expo». Insomma, se esi­ste un «Expo­reato» che li tiene fuori dall’esposizione. «Chie­diamo sia fatta chia­rezza, pen­siamo di essere di fronte a una vio­la­zione dell’articolo 8 dello Sta­tuto dei lavo­ra­tori» dice Anto­nio Lareno, respon­sa­bile Expo per la Cgil di Milano, che ha chie­sto un tavolo straor­di­na­rio dell’Osservatorio Expo per venerdì 29 mag­gio. Tavolo a cui vor­rebbe par­te­ci­pare anche il Comune di Milano: «abbiamo chie­sto di farne ecce­zio­nal­mente parte» ha detto Cri­stina Tajani, asses­sore al lavoro della giunta Pisa­pia. «Chie­diamo a Que­stura e Pre­fet­tura di essere infor­mati su pro­ce­dure, nor­ma­tive e prassi adot­tate nei casi segnalati».

La vicenda finirà anche in Par­la­mento, il depu­tato di Sel Daniele Farina ha depo­si­tato un’interrogazione par­la­men­tare. Ma sarebbe il caso che altri pren­des­sero parola: chi ha perso il posto di lavoro ha il diritto di sapere con la mas­sima tra­spa­renza in base a quale cri­teri è suc­cesso e se tutto ciò sia legit­timo o meno.



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