by redazione | 6 Maggio 2015 9:03
Tre lavoratori di Carinaro sul tetto della fabbrica, seduti sul cornicione proprio sotto l’imponente logo Indesit, un gruppo di colleghi sulla superstrada Giugliano-Marcianise per bloccare il traffico. L’attesa del vertice di ieri a Roma al ministero dello Sviluppo economico è stata scandita nel casertano dalle proteste. Gli operai non si fidano delle rassicurazioni e non si allontanano dai cancelli: «Rimaniamo qui a presidiare il nostro posto di lavoro, nessuno porta via niente da Carinaro», ripetono. Lunedì una delegazione di 50 tute blu era arrivata a Napoli per consegnare al console statunitense una lettera in cui spiegavano la loro contrarietà al piano Whirlpool, che li cancella dagli organigrammi dell’azienda insieme ai colleghi di None e di Albacina.
«Molte multinazionali vengono a fare shopping nel nostro paese, sfruttano quello che possono e poi lasciano i disoccupati qui — il commenti di Carmelo Barbagallo, segretario generale della Uil — Il confronto deve essere portato alla presidenza del Consiglio. Servono delle leggi europee per quanto riguarda il rispetto delle impostazioni produttive, occupazionali delle multinazionali».
Ieri il governatore campano, Stefano Caldoro, ha messo sul tavolo una delibera da 50 milioni per Carinaro a valere sulle risorse della Programmazione unitaria 2014–2020, il finanziamento è subordinato a un accordo con «governo, azienda e sindacati che assicuri adeguate prospettive di crescita allo stabilimento e alle altre strutture di ricerca e sviluppo, produttive o commerciali dell’azienda, operanti in Campania». Naturalmente è una delibera di giunta, una promessa, che toccherà al vincitore delle regionali di fine mese onorare se si riuscirà a bloccare la chiusura.
L’iniziativa della Regione non basta certo a calmare gli animi dei lavoratori, letteralmente infuriati: «Se la Whirlpool dovesse avere mano libera — spiegano — nel casertano nel giro di un anno e mezzo verrebbero spazzati via 2 mila lavoratori, tra i 600 già persi a Teverola nel 2013, gli 815 di Carinaro più l’indotto. Una strage. Da noi l’età media è sotto i quarant’anni. L’azienda dice che non siamo convenienti, però un mese fa ci ha messo in busta il premio produttivo. La verità è che vogliono far pagare a noi il rafforzamento di Lombardia e Marche». Partono le trattative a Roma: ai tre dipendenti già sul tetto, se ne aggiungono altri sei. I vigili del fuoco stendono un telone di sicurezza mente gli operai rimuovono il blocco stradale.
Sono arrabbiati e anche molto offesi. In Terra di lavoro producono frigoriferi e lavatrici dagli anni ’70, si sentono quasi degli artisti, padroni di una lunga tradizione. La fabbrica aprì nel 1972, due anni dopo l’esproprio dei suoli. Era la Indesit di Armando Campione, Adelchi Candellero e Filippo Gatta. La Fiat aveva smesso di fare i frigo per concentrarsi sulle auto e i tre soci nel 1953 avevano deciso di occupare quel segmento di mercato fondando a Torino la Spirea, nel 1962 diventa Indesit — Industria Elettrodomestci Spirea Italia, un decennio dopo sono sei i siti produttivi al nord più due nel casertano: «In Campania eravamo 5.500 dipendenti– racconta Vincenzo Sglavo — divisi in dieci stabilimenti tra Teverola e Carinaro, facevamo elettronica e bianco: lavatrici, frigoriferi, monitor professionali, televisori e altro. Nel 1980 il fallimento, nel 1987 il marchio viene rilevato dai Merloni che avevano già l’Ariston così, grazie all’Indesit, diventano il terzo produttore in Europa. Poi cominciano a spostarsi all’est, 6 mila lavoratori solo in Russia. Adesso arrivano gli statunitensi e vorrebbero chiudere quello che resta dell’Indesit originaria, noi e None».
Finisce l’incontro al Mise, gli operai sul tetto si attrezzano con le coperte per passare la notte. In serata assemblea con i sindacati di ritorno da Roma in un clima teso: «Il governo si è fatto pubblicità e poi se n’è lavato le mani — racconta Raffaele Truosolo della Fiom — È una vigliaccata a freddo dopo i sacrifici dell’accordo del 2013».
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