Cina. La nuova marcia dell’esercito rosso
PECHINO LA Cina non acquista solo industrie, terra, infrastrutture e debiti stranieri. Per conquistare il mondo ha bisogno di armi e Pechino non lesina gli investimenti. Nessuna super-potenza, negli ultimi tre anni, ha incrementato il budget militare quanto la Cina, impegnata in una corsa al riarmo senza precedenti. Il confronto è uno shock non solo nel Pacifico: costringe a spese di guerra miliardarie Usa, Russia e Giappone, ma pure Francia, Germania, Gran Bretagna e Paesi arabi. La reazione a catena impone shopping bellici record in tutta l’Asia, dal Vietnam alla Corea del Sud, dalle Filippine all’India e all’Australia. Se c’è un mercato globalmente in espansione, oggi è quello degli armamenti e Pechino ne è l’indiscusso protagonista. Due giorni fa, per la prima volta, soldati dell’armata popolare di Pechino hanno sfilato a Mosca sulla piazza Rossa, per ricordare il decisivo «fattore comunista» e il «ruolo asiatico» nella lotta contro il nazismo hitleriano che sconvolse l’Europa del Novecento.
La rinnovata esibizione di forza ha però adesso anche una data e una passerella in Oriente: 3 settembre, piazza Tiananmen. Per celebrare la fine della seconda guerra mondiale, con la vittoria sul Giappone, il presidente Xi Jinping ha invitato nella capitale i capi di Stato e di governo del pianeta, a partire proprio dal russo Vladimir Putin e dal dittatore nordcoreano Kim Jong-un, che in extremis ha disertato la parata russa. Davanti a loro sfileranno, per la prima volta dall’ascesa al potere del “nuovo Mao”, i gioielli segreti del sempre più sofisticato arsenale cinese. L’imbarazzo diplomatico è ogni giorno più evidente. Il presidente americano Barack Obama e il premier giapponese Shinzo Abe, come la cancelliera germanica Angela Merkel e gli altri leader della Ue, si troverebbero a passare in rassegna le armi cinesi al fianco di despoti asiatici e africani, mentre Pechino lancia la volata verso il riarmo atomico del pianeta e nemmeno un mese dopo il ricordo dell’olocausto nucleare di Hiroshima e Nagasaki, consumato 70 anni fa.
La scelta di festeggiare la fine dei conflitti del Novecento con uno show di missili, droni, sommergibili e carrarmati, invece che con uno spettacolo dedicato alla pace e alla riconciliazione, per gli analisti conferma il nuovo approccio di Pechino alla politica internazionale. Consumata la fase dell’espansione economica e culturale, per Xi Jinping è giunta l’ora di mostrare i muscoli, sia in patria che all’estero. Ai primi di marzo il silenzio sulla corsa alle armi cinese, mantenuto per dieci anni da Hu Jintao, è stato rotto dalla portavoce dell’Assemblea nazionale del popolo, Fu Jing. «La Cina ormai è un grande Paese — ha detto — e ha bisogno di una forza militare capace di proteggere la sua sicurezza nazionale e il suo popolo». Ha aggiunto che la leadership rossa non ha dimenticato la lezione della storia: «Quando siamo rimasti indietro sull’esercito, siamo stati attaccati e invasi ».
Nessuno oggi può permettersi di minacciare la Cina, ma per l’apparato che governa la Città Proibita un arsenale da incubo è necessario anche per conservare il potere e mantenere la stabilità interna. Le purghe “anti-corruzione” di Xi Jinping decimano i generali e decapitano i vertici delle forze armate. A Pechino da mesi si rincorrono voci sul rischio di tentativi di colpo di Stato e sul conto alla rovesciata scattato per l’implosione del comunismo, come in Unione sovietica nel 1989. Ai successori di Mao investire montagne di yuan in armamenti serve, oltre che a spaventare vicini di casa e Occidente, a blandire i militari fedeli e a confermare che l’apparato della sicurezza rimane la spina dorsale dell’autoritarismo post-rivoluzionario.
L’intelligence straniera è convinta che la spesa in armi cinese, rispetto alle cifre ufficiali, ammonti ad oltre il doppio. L’incremento degli stanziamenti giustifica in ogni caso l’allarme. Questa settimana Cina e Russia svolgeranno le loro prime esercitazioni navali congiunte nel Mediterraneo. La Cina lo scorso anno è diventata il primo importatore mondiale di armi e il terzo esportatore. In cinque anni l’export bellico di Pechino è cresciuto del 143%, superando quello di Germania e Francia e fermandosi dietro solo a Usa e Russia. I media di Mosca ieri hanno rivelato che la Cina ha ordinato all’ex Urss il sistema di missili terra-aria S-400, stanziando oltre 3 miliardi di dollari. Le nuove armi anti-aeree possono distruggere qualsiasi bersaglio anche a lungo raggio, dai caccia ai razzi cruise. In Asia l’investimento certifica l’alleanza bellica Cina-Russia, in risposta a quella Usa-Giappone: rivela però in particolare la necessità di tecnologia dell’industria delle armi di Pechino.
Il caso simbolo è quello della prima portaerei atomica, la “Liaoning”, acquistata quattro anni fa dall’Ucraina: terminato il restauro, tecnici e scienziati cinesi sono stati in grado di avviare il varo della seconda, ormai imminente. Il boom delle importazioni di armi è la via scelta dalla Cina per bruciare le tappe nell’accumulo di conoscenza, sia per modernizzare l’Esercito popolare di liberazione che per irrompere nel mercato mondiale dell’export. A confermarlo, anche le cifre ufficiali. Nel 2014 Pechino ha investito in armi 132 miliardi di dollari, che quest’anno saliranno a 148. Sempre nel 2014 l’incremento annuo della spesa bellica è stato del 12,2%, ridotto al 10,1% nel 2015. La crescita del riarmo resta però sempre superiore a quella del Pil, oscillante tra il 7,4 e il 7%. Pechino impegna in armi il 2,2% del prodotto interno lordo: entro dicembre aumenterà di 50 navi la propria flotta costiera, passerà da 66 a 78 sottomarini di profondità, varerà più imbarcazioni e aerei da guerra di ogni altro Paese. Questo sarà il quinto anno consecutivo di incremento a doppia cifra del budget di difesa, impegnato per un terzo negli stipendi dei 2,3 milioni di soldati.
I dirigenti comunisti rispondono all’accusa di «corsa al riarmo atomico» ricordando che, nello sprint, gli Stati Uniti restano per ora irraggiungibili: 585 miliardi di dollari spesi nel 2014, pari al 3,7% del Pil. Il problema è che il confronto con Usa e Russia è storico, mentre il boom bellico dell’Asia minaccia di preparare i conflitti dei prossimi decenni. A metà gennaio Tokyo ha annunciato che quest’anno riserverà al riarmo 36 miliardi di euro, terzo aumento annuo consecutivo nonostante nel Paese sia ancora in vigore la Costituzione pacifista imposta da Washington nel 1945. Se alle spese belliche di Cina, Giappone e Russia (88 miliardi di dollari) si aggiungono quelle di India (48 miliardi), Corea del Sud (34 miliardi) e delle nazioni emergenti del Sudest, si scopre che la regione Asia-Pacifico dopo secoli è già il più micidiale arsenale del pianeta, anche escludendo quello misterioso della Corea del Nord. Lo spostamento del dominio bellico, dall’Occidente all’Oriente, spaventa Europa e America, ma costituisce il primo allarme proprio in Asia.
Da due anni Cina e Giappone sono ogni giorno ad un passo dal conflitto armato per il controllo dell’arcipelago conteso delle Diaoyu-Senkaku e degli spazi aerei rivendicati sia da Tokyo che da Pechino. Xi Jinping non ha avuto problemi ad entrare in rotta di collisione con Vietnam, Cambogia, Filippine, Malesia, Indonesia e Taiwan per il possesso di centinaia di atolli e scogli corallini nel Mar Cinese meridionale. Tra le isole Spratly, Pechino sta alzando una “grande muraglia di sabbia”, costruendo isole artificiali e allungando la barriera corallifera, aprendo porti militari, piste d’atterraggio ed edifici utilizzabili come caserme. Il governo assicura che si tratta di una «bonifica impeccabile che rispecchia la sovranità nazionale», ma le cancellerie straniere temono che la Cina stia in realtà preparando le «condizioni per un nuovo ordine mondiale » e per un «nuovo tipo di relazioni tra grandi potenze». I servizi Usa, dopo le critiche di Barack Obama al riarmo di Pechino, parlano esplicitamente di «prove di guerra». Per la Cina costituirebbe un esordio assoluto: affari d’oro per i mercanti di morte, l’ultima tragedia per l’umanità.
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