Calcio, nomine, affari Il summit a Trinidad e la fila per le mazzette
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NEW YORK « C’è in giro qualcuno che vuole sentirsi più pio di noi. Beh, amici, se volete essere pii, aprite una chiesa: per me gli affari sono affari». La battuta contro chi mostrava qualche imbarazzo davanti alla distribuzione sistematica di «mazzette», è di Jack Warner, uno degli ex dirigenti Fifa incriminati dalla magistratura Usa. Parole che illustrano, meglio delle tante prove di colpevolezza contenute nei documenti dell’inchiesta, il clima di diffusa corruzione che domina da anni nella Federazione calcistica internazionale. Per coglierlo bisogna immergersi nel ponderoso raccoglitore pieno di atti dell’inchiesta distribuito ieri ai giornalisti dal tribunale federale di Brooklyn subito prima della conferenza stampa di Loretta Lynch, del capo dell’Fbi e degli investigatori.
Il ministro della Giustizia Usa è stato attento a non arrivare a conclusioni affrettate e a non esprimere giudizi che vanno oltre la giurisdizione americana. Ma la verità è che i documenti dell’inchiesta, pur limitati a reati che coinvolgono direttamente gli Stati Uniti (o per i quali sono state usate banche e strutture informatiche americane), offre un quadro devastante dell’intera organizzazione calcistica internazionale. Così, dopo molte dichiarazioni caute dei capi, spunta sul podio Richard Weber, capo dell’Irs, il Fisco americano, che annuncia raggiante: «Questa è diventata la Coppa del Mondo delle frodi e noi oggi abbiamo mostrato il cartellino rosso alla Fifa».
L’indagine, in corso da anni e basata anche sulle testimonianze di «pentiti», è concentrata soprattutto sulle manifestazioni calcistiche americane, dalla Coppa America alla Coppa Libertadores alla Gold Cup per le quali è documentata in modo estremamente accurato la corruzione capillare, con le società di marketing sportivo costrette a versare tangenti per i diritti televisivi e la partecipazioni pubblicitaria a ogni manifestazione, con tariffari differenziati per i tornei veri e propri e per le fasi eliminatore. Corruzione come realtà quotidiana diffusa ovunque: il modo di operare di un’organizzazione sportiva solo di nome perché, come dice Warner, «gli affari sono affari».
L’episodio che tira in ballo l’ex capo della federazione di Trinidad e Tobago (oggi parlamentare del suo Paese) risale al 2011 quando un dirigente del calcio asiatico, menzionato nelle carte processuali come «co-cospiratore numero 7», pensò di candidarsi alla presidenza della Fifa e chiese l’appoggio delle federazioni americane. Le carte processuali ripercorrono tutto il lavoro fatto da Warner per mettere insieme una coalizione. L’impossibilità di organizzare incontri a New York per problemi di visti d’ingresso negli Usa e il summit finale all’Hyatt Regency di Trinidad e Tobago dove i rappresentanti delle federazioni furono invitati a entrare nella sala delle conferenze uno alla volta, lasciando fuori il personale dello staff. Separati di una manciata di secondi per non creare troppi imbarazzi visto che a ogni dirigente che andava a registrarsi veniva consegnata una busta contenente 40 mila dollari in contanti.
Qualcuno un certo imbarazzo, però, deve averlo provato e — pur guardandosi bene dallo sporgere denuncia — aveva parlato dei pagamenti ad altri dirigenti. Provocando la reazione irata di Warner che poi, ormai troppo «chiacchierato», fu costretto a dimettersi.
Di episodi nelle carte dell’inchiesta ne vengono raccontati tanti altri che vanno anche al di là del continente americano, come la battaglia a colpi di assegni milionari passati sottobanco per l’assegnazione della Coppa del Mondo 2010. Alla fine la spunterà il Sud Africa su Marocco, Egitto e altri concorrenti. Con la Coppa America per la prima volta assegnata agli Usa, la preoccupazione degli investigatori sembra soprattutto quella di bloccare il contagio della corruzione prima di finire nel gorgo delle mazzette: ma il capo dell’Fbi James Comey, oltre a promettere che la corruzione Fifa sarà estirpata, annuncia minacciosamente che i documenti pubblicati ieri rappresentano solo l’inizio dell’indagine federale. Ci saranno altre incriminazioni e si spera che emergeranno altri collaboratori. Intanto qualcuno nota maliziosamente che le carte del tribunale di Brooklyn ricostruiscono pagamenti illeciti transitati, oltre che da banche svizzere e istituti americani come Citibank e Bank of America, anche dalla Doha Bank del Qatar.
Il ministro della Giustizia Usa è stato attento a non arrivare a conclusioni affrettate e a non esprimere giudizi che vanno oltre la giurisdizione americana. Ma la verità è che i documenti dell’inchiesta, pur limitati a reati che coinvolgono direttamente gli Stati Uniti (o per i quali sono state usate banche e strutture informatiche americane), offre un quadro devastante dell’intera organizzazione calcistica internazionale. Così, dopo molte dichiarazioni caute dei capi, spunta sul podio Richard Weber, capo dell’Irs, il Fisco americano, che annuncia raggiante: «Questa è diventata la Coppa del Mondo delle frodi e noi oggi abbiamo mostrato il cartellino rosso alla Fifa».
L’indagine, in corso da anni e basata anche sulle testimonianze di «pentiti», è concentrata soprattutto sulle manifestazioni calcistiche americane, dalla Coppa America alla Coppa Libertadores alla Gold Cup per le quali è documentata in modo estremamente accurato la corruzione capillare, con le società di marketing sportivo costrette a versare tangenti per i diritti televisivi e la partecipazioni pubblicitaria a ogni manifestazione, con tariffari differenziati per i tornei veri e propri e per le fasi eliminatore. Corruzione come realtà quotidiana diffusa ovunque: il modo di operare di un’organizzazione sportiva solo di nome perché, come dice Warner, «gli affari sono affari».
L’episodio che tira in ballo l’ex capo della federazione di Trinidad e Tobago (oggi parlamentare del suo Paese) risale al 2011 quando un dirigente del calcio asiatico, menzionato nelle carte processuali come «co-cospiratore numero 7», pensò di candidarsi alla presidenza della Fifa e chiese l’appoggio delle federazioni americane. Le carte processuali ripercorrono tutto il lavoro fatto da Warner per mettere insieme una coalizione. L’impossibilità di organizzare incontri a New York per problemi di visti d’ingresso negli Usa e il summit finale all’Hyatt Regency di Trinidad e Tobago dove i rappresentanti delle federazioni furono invitati a entrare nella sala delle conferenze uno alla volta, lasciando fuori il personale dello staff. Separati di una manciata di secondi per non creare troppi imbarazzi visto che a ogni dirigente che andava a registrarsi veniva consegnata una busta contenente 40 mila dollari in contanti.
Qualcuno un certo imbarazzo, però, deve averlo provato e — pur guardandosi bene dallo sporgere denuncia — aveva parlato dei pagamenti ad altri dirigenti. Provocando la reazione irata di Warner che poi, ormai troppo «chiacchierato», fu costretto a dimettersi.
Di episodi nelle carte dell’inchiesta ne vengono raccontati tanti altri che vanno anche al di là del continente americano, come la battaglia a colpi di assegni milionari passati sottobanco per l’assegnazione della Coppa del Mondo 2010. Alla fine la spunterà il Sud Africa su Marocco, Egitto e altri concorrenti. Con la Coppa America per la prima volta assegnata agli Usa, la preoccupazione degli investigatori sembra soprattutto quella di bloccare il contagio della corruzione prima di finire nel gorgo delle mazzette: ma il capo dell’Fbi James Comey, oltre a promettere che la corruzione Fifa sarà estirpata, annuncia minacciosamente che i documenti pubblicati ieri rappresentano solo l’inizio dell’indagine federale. Ci saranno altre incriminazioni e si spera che emergeranno altri collaboratori. Intanto qualcuno nota maliziosamente che le carte del tribunale di Brooklyn ricostruiscono pagamenti illeciti transitati, oltre che da banche svizzere e istituti americani come Citibank e Bank of America, anche dalla Doha Bank del Qatar.
Massimo Gaggi
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