Brexit, il fantasma del voto in Gran Bretagna
Bruxelles evita di parlare di Londra e Londra evita di parlare di Bruxelles. Eppure, il voto di oggi in Gran Bretagna avrà conseguenze importanti per l’Unione europea. Un fantasma, difatti, si aggira nelle retrovie dello scontro politico britannico: il Brexit, l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea. Il primo ministro uscente, il conservatore David Cameron, ha usato la promessa elettorale di un referendum sulla Ue nel 2017 per limitare l’emorragia dei propri elettori verso l’Ukip, il partito di estrema destra che con l’equivalenza Europa=immigrazione, ha fatto dell’uscita dalla Ue la sua ragion d’essere. Lo sfidante laburista Ed Miliband rifiuta il Brexit, che “sarebbe un disastro per milioni di posti di lavoro, per le imprese, le famiglie”, ma non puo’ permettersi di chiudere definitivamente la porta a un referendum, ammesso solo nel caso in cui Bruxelles si spinga troppo avanti nella pretesa di trasferimento delle competenze e nell’imposizione dell’abbandono di sovranità. “Se saro’ primo ministro — ha detto – voglio spendere la mia energia sul potere d’acquisto, l’occupazione e la sanità, non su questa idea di lasciare l’Europa”. Ma per l’ex ministro degli esteri di Tony Blair, Denis MacShane, un Brexit “è possibile”, qualunque sia il vincitore oggi. Del resto, nel Labour c’è una fetta di euroscettici. I Verdi, peraltro favorevoli all’Europa, fanno del referendum sulla Ue una questione di democrazia e la popolazione, anche se l’Europa arriva soltanto al settimo posto nelle preoccupazioni dell’elettorato, vi è ampiamente favorevole (secondo un sondaggio pubblicato dal Guardian, più di tre elettori su quattro vorrebbero un referendum, anche se il 46% voterebbe contro il Brexit e il 38% a favore).
Tory e Labour hanno evitato il più possibile di parlare d’Europa, d’accordo sul fatto che questo argomento avrebbe soltanto favorito l’Ukip. L’Europa svolge pero’ un ruolo da spaventapasseri nella campagna tory (quando si rivolge ai cittadini). David Cameron vanta una disoccupazione dimezzata (al 5,7%), un tasso di crescita del 2,4%, cosi’ lontano dalla stagnazione della zona euro, di aver creato 1,8 milioni di posti di lavoro, “più che in tutto il resto d’Europa”. Cameron diventa equilibrista, invece, quando si rivolge alla City, che ha finanziato gran parte della sua campagna, ma che è ostile al Brexit (anche se il padronato insiste sull’opt out dalle regole sociali europee).
Il dopo-voto vedrà inevitabilmente il tema dell’Europa tornare in primo piano. Se Cameron vince, la questione europea avrà un peso determinante per le alleanze: sia se continuerà l’accordo con i LibDem, reticenti sul referendum, sia se i Tory avranno bisogno dei voti dell’Ukip, poiché Nigel Farage reclama una consultazione popolare sull’appartenenza alla Ue “il più presto possibile”. Nel caso di sconfitta di Cameron, i Tory potrebbero sostituirlo alla testa del partito con un euroscettico ancora più deciso, l’attuale sindaco di Londra Boris Johnson. Nel dopo-voto, la questione scozzese è destinata ad incrociarsi con quella europea: in caso di referendum, la leader dello Scottish National Party, Nicola Sturgeon, esige un “diritto di veto” per evitare che un Brexit porti fuori dalla Ue anche la Scozia. Un rompicapo per Bruxelles, un caso inedito di un paese che esce dalla Ue ma una sua parte vuole rinegoziarne l’entrata, una situazione non prevista dai trattati.
La Gran Bretagna arriva al voto già isolata in Europa. Londra non è presente in prima linee nelle iniziative diplomatiche intergovernative, a cominciare dall’Ucraina. Ha finito per accettare obtorto collo il mandato d’arresto europeo nel novembre 2014, dopo averlo rifiutato, ma ormai Cameron chiede esenzioni sulla libera circolazione delle persone (in particolare per gli ultimi arrivati, bulgari e rumeni), senza tener conto che ci sono più cittadini britannici che vivono nei paesi Ue che cittadini Ue in Gran Bretagna. Bruxelles ha ceduto, in parte, accettando la limitazione dei diritti sociali per i cittadini Ue residenti in Gran Bretagna, dove il governo ha fatto propaganda contro il “turismo sociale”. Per Londra, conta soprattutto che la Ue concluda i negoziati del Ttip con gli Usa. Il mercato unico resta la principale attrazione della Ue per la Gran Bretagna.
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