Tsi­pras: «Referendum sui negoziati»

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Grecia. Jeroen Dijsselbloem e Mario Draghi. «Abbiamo sbagliato a non chiedere per iscritto ciò che ci avevano promesso, ovvero la garanzia che dopo l’accordo del 20 febbraio avrebbero lasciato mano libera alle banche consentendo loro di investire di più nei titoli di stato»
Pronto a un com­pro­messo sem­pre ono­re­vole e non a una capi­to­la­zione incon­di­zio­nata, Ale­xis Tsi­pras. Ma il tempo stringe per il governo greco e il cam­pa­nello d’allarme non viene dalle casse dello stato più o meno vuote, né dai bot­te­gai, il cui pre­si­dente, già can­di­dato euro­par­la­men­tare con le liste della Nea Dimo­kra­tia, ha minac­ciato che «i lun­ghi nego­ziati» tra Atene e i suoi cre­di­tori «aggra­vano la crisi del com­mer­cio greco».

Manco a dirlo, l’allarme è giunto da Bru­xel­les e da Riga dove mini­stri dell’eurozona hanno espresso la loro rituale pre­oc­cu­pa­zione su cosa acca­drà nel caso in cui l’Eurogruppo dell’11 mag­gio dovesse finire con un altro nulla di fatto. Il pre­mier greco sa che anche que­sti «timori» fanno parte delle pres­sioni eser­ci­tate su Atene per farla retrocedere.

Ma il 12 mag­gio, senza un aiuto finan­zia­rio il governo greco dif­fi­cil­mente potrà rim­bor­sare i 700 milioni di euro al Fmi. A meno di sal­tare sti­pendi e pen­sioni per il pros­simo mese, cosa che Tsi­pras ha escluso. Lunedì sera, in un’intervista-fiume finita nella notte, si è detto pronto a un com­pro­messo ono­re­vole, ma non ha indie­treg­giato: fermo sem­pre sul pro­gramma di Salo­nicco, ma con uno spi­rito più ade­guato alle circostanze.

Pronto all’autocritica, ma anche espli­cito nel caso il nego­ziato dovesse fal­lire e le condizioni-diktat impo­ste dai cre­di­tori inter­na­zio­nali doves­sero costrin­gere il governo Syriza–Anel a vio­lare le pro­messe elettorali.

Lo stallo delle ultime set­ti­mane «sta spin­gendo il paese nella reces­sione», per­ció «è neces­saro arri­vare a un accordo in tempi stretti… entro la fine della set­ti­mana pros­sima», ha detto Tsi­pras, che è parso prò otti­mi­sta: «Siamo vicini a un accordo — ha detto -, nono­stante restino diver­genze su lavoro, pen­sioni e pri­va­tiz­za­zioni». Per­ché i ricavi delle pri­va­tiz­za­zione, per il pre­mier greco, ser­vono a soste­nere la crisi sociale non, come sostiene Bru­xel­les, a ripa­gare il buco nero del debito lasciato dal governo Samaras.

Ma in caso di fal­li­mento delle trat­ta­tive o di intesa sfa­vo­re­vole ad Atene, nel caso che la Gre­cia var­casse le pre­an­nun­ciate «linee rosse», non si tor­ne­rebbe alla dracma, né ci sareb­bero ele­zioni anti­ci­pate come paven­tato da molte parti. Per Tsi­pras l’alternativa è un refe­ren­dum. Una con­sul­ta­zione popo­lare sui risul­tati del nego­ziato euro­peo, mal­grado le pole­mi­che pro­ve­nienti dall’opposizione e i dubbi di chi sostiene che la Costi­tu­zione elle­nica non pre­vede refe­ren­dum per leggi di bilancio.

Ma l’oggetto non sarebbe una legge di bilan­cio. «Si tratta di un argo­mento d’interesse nazio­nale che ha una com­po­nente finan­zia­ria», ha rispo­sto ieri Tsi­pras, che ha cri­ti­cato Jeroen Dijs­sel­bloem e Mario Dra­ghi. «Abbiamo sba­gliato a non chie­dere per iscritto ciò che ci ave­vano pro­messo, ovvero la garan­zia che dopo l’accordo del 20 feb­braio avreb­bero lasciato mano libera alle ban­che con­sen­tendo loro di inve­stire di più nei titoli di stato». Rife­ren­dosi al pre­si­dente della Bce, l’ha con­si­de­rato respon­sa­bile della deci­sione «non orto­dossa» di ridurre la pos­si­bi­lità del finan­zia­mento delle ban­che gre­che dall’Eurotower. Nes­suna frec­ciata sta­volta per Angela Mer­kel con la quale ha deciso nel recente ver­tice bila­te­rale di tenere sem­pre aperto il col­le­ga­mento tele­fo­nico per garan­tire il pro­se­gui­mento del negoziato.

Varou­fa­kis? Ora è meno solo

Tsi­pras ha poi tes­suto le lodi di Yanis Varou­fa­kis — «il mini­stro delle finanze resta un asset impor­tante per il Paese» -, nono­stante dome­nica scorsa, nella riu­nione a Megaro Maxi­mou, sede del governo, sia stato deciso di coa­diu­vare il suo potere di trat­ta­tiva. Varou­fa­kis man­tiene sem­pre l’incarico del mini­stero delle Finanze, ma respon­sa­bile dei nego­ziati con i part­ner euro­pei sarà d’ora in poi il vice­mi­ni­stro delle Rela­zioni inter­na­zio­nali Euclid Tsa­ka­lo­tos, che ha stu­diato a Oxford e che, secondo alcuni, avrebbe il pro­filo giu­sto per trat­tare con i cre­di­tori. Il governo ha inol­tre for­mato una squa­dra tec­nica coor­di­nata dal segre­ta­rio gene­rale Spy­ros Sagias, men­tre la respon­sa­bi­lità del gruppo che tratta con il Bruxelles-Group l’avrà il pre­si­dente del con­si­glio eco­no­mico Jor­gos Hou­lia­ra­kis. Diverse le inter­pre­ta­zioni del mini-rimpasto del gruppo che tratta con le «isti­tu­zioni» europee.

È opi­nione dif­fusa che con tale deci­sione il governo intenda «esten­dere il soste­gno» al mini­stro delle Finanze, men­tre a sen­tire parte della stampa locale e inter­na­zio­nale (impe­gnata in una vasta opera di fal­si­fi­ca­zione), il «depo­ten­zia­mento» di Varou­fa­kis era quasi obbli­gato dopo le enne­sime, dure cri­ti­che dell’Eurogruppo a Riga.

Pole­mi­che anche sul nego­ziato per le riforme. Alle voci secondo le quali Tsi­pras sarebbe giá pronto a rinun­ciare alle pro­messe elet­to­rali come l’aumento del sala­rio minimo e il raf­for­za­mento dei diritti dei lavo­ra­tori con il ripri­stino del con­tratto col­let­tivo nazio­nale di lavoro, il pre­mier mostra invece di non volere rinun­ciare a nes­suno di que­sti con­te­nuti; al mas­simo sem­bra dispo­sto solo a riman­dare a giu­gno il nego­ziato su que­sti argo­menti nell’ambito delle trat­tat­tive per la ridu­zione del debito e per un pro­gramma a lungo ter­mine. Comun­que ieri il pre­mier si é limi­tato a dire sol­tanto che l’ abo­li­zione della tassa unica sulla casa potrebbe slit­tare al 2016.



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