Tribunale di Milano. Come è potuto succedere ?

by redazione | 10 Aprile 2015 9:15

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MILANO Quattro ingressi, tre dei quali dotati di un metal detector e di un apparecchiatura a «raggi x» per le borse, vedono transitare ogni giorno un flusso stimato in cinquemila persone, tanti quanti gli abitanti di una piccola cittadina italiana, che in un via vai continuo affollano una struttura pensata negli anni Venti per sopportare un carico giudiziario enormemente inferiore. A controllare questa marea di gente, in cui non mancano certo persone poco raccomandabili, ci sono appena 16 guardie giurate per turno, di cui solo alcune armate. A Claudio Giardiello, che in tasca aveva una pistola, è bastato un tesserino falso per bucare con una tragica facilità questo sistema di sicurezza minimalista, uccidere tre persone, ferirne altre due ed uscire indisturbato dopo aver sparato qualcosa come 13 colpi di pistola in ben tre diverse zone del Palazzo di Giustizia di Milano.
L’entrata riservata
Ieri mattina Giardiello è entrato dalla porta di viale Manara, quella riservata solo a magistrati, avvocati, forze dell’ordine e impiegati. È l’unico dei quattro ingressi in cui non c’è il metal detector. Tolto anni fa dopo alcuni lavori di ristrutturazione, non è stato mai più rimesso. Ai due addetti alla sicurezza che presidiano l’ingresso, e che non sono armati proprio perché lì non ci sono i controlli elettronici, avrebbe mostrato qualcosa che deve essere sembrato un tesserino di un qualche tipo, e forse quelli hanno anche pensato che si trattava di una faccia conosciuta visto che l’uomo frequentava spesso il Palazzo perché ha varie cause pendenti. «È possibile che sia entrato presentando un documento falso», conferma il procuratore Edmondo Bruti Liberati.
I controlli spesso non sono così approfonditi come invece dovrebbero. «Gli addetti devono verificare l’identità di chi entra», dichiara ancora Bruti Liberati. In realtà il più delle volte nella ressa ci si limita a una occhiata al tesserino, che fa capolino da un portafoglio, senza accertare i dati che vi sono contenuti. Certo, se lo si facesse per tutti si accumulerebbero file interminabili di persone spazientite. Cosa diversa è per chi attraversa i varchi controllati elettronicamente, che è la maggior parte degli utenti del Palazzo di Giustizia. Lì si viene ispezionati uno ad uno, come in aeroporto.
Una volta dentro, chiunque può andare praticamente dove vuole senza essere fermato di nuovo, come avviene invece in molte strutture simili in altre città. Può raggiungere senza problemi ogni ufficio, ogni aula, andare in Procura fino alla porta di qualsiasi magistrato, tranne quelli protetti dalla scorta. A garantire la vigilanza interna c’è una nutrita pattuglia di carabinieri, che un tempo presidiavano gli ingressi. Anche in questo caso, però, i numeri dei militari non paiono poter garantire un controllo continuo e capillare in tutti gli angoli di un edificio vastissimo e attraversato da un labirinto di decine di sterminati corridoi e scalinate. C’è anche un sistema di telecamere a circuito chiuso installato di recente che fa capo a una centrale ci controllo affidata ai vigilantes.
Claudio Giardiello ha salito gli ampi scaloni che conducono al terzo piano ed è entrato nell’aula della seconda sezione penale del Tribunale dove veniva processato con altri sei imputati. Addosso aveva una pistola e due caricatori pieni di cartucce. Nessuno lo ha controllato nemmeno qui. Perché? Semplicemente perché in un’aula di giustizia la vigilanza è obbligatoria solo in presenza di imputati detenuti. In questo caso se ne occupano gli agenti della polizia penitenziaria talvolta in collaborazione con i carabinieri.
Le falle del sistema
In questo scenario si è potuto muovere liberamente Claudio Giardiello il quale, dopo aver sparato in aula uccidendo due persone e ferendone un’altra, ha avuto la possibilità di fare a ritroso la stessa strada che aveva fatto prima. Mentre scendeva le scale ha perfino sparato a un commercialista che era stato coinvolto nelle sue vicende e che aveva incontrato per caso a due passi dagli stessi vigilantes disarmati che prima aveva ingannato. E non è bastata. Ha risalito due rampe di scale, percorso un corridoio al secondo piano fino alla stanza del giudice Ferdinando Campi. Lì lo ha freddato senza pietà alla sua scrivania, mentre l’intero Palazzo era in preda al terrore. «Uno scenario di stupore e di gravità inaudita. Non si riesce a comprendere come possa essere arrivato a commettere un atto così grave», dice il procuratore di Brescia Tommaso Buonanno che guiderà le indagini. «Di fronte a un gesto isolato le difese difficilmente possono essere assolute», dice Bruti Liberati ammettendo l’evidenza dell’esistenza di «falle in un sistema di sicurezza che sinora aveva sempre funzionato».
Giuseppe Guastella
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