Tor­tura e codici su divise: le leggi impossibili

by redazione | 8 Aprile 2015 10:16

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Reato di tor­tura e codice iden­ti­fi­ca­tivo per le forze dell’ordine: fino a quando l’Italia non prov­ve­derà a col­mare que­ste lacune nel pro­prio ordi­na­mento, la «natura strut­tu­rale del pro­blema» rimarrà — per usare le parole della Corte euro­pea dei diritti dell’uomo — «evi­dente». Appu­rato infatti che il com­por­ta­mento da “macel­le­ria mes­si­cana” tenuto dalle forze dell’ordine alla Diaz «deve essere qua­li­fi­cato come tor­tura», nella con­danna con­tro Roma la Corte di Stra­sburgo pro­nun­cia un espli­cito impe­ra­tivo a rispet­tare i prin­cipi della legi­sla­zione internazionale.

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Insomma, ciò che gli ita­liani discu­tono inu­til­mente da decenni, all’impasse per i veti delle divise di cui la destra si fa por­ta­voce ma che rie­scono ad imbal­sa­mare anche il Pd, inca­pace di pro­ce­dere sulla strada segnata dalla stessa Costi­tu­zione ita­liana, dalla Con­ven­zione di Gine­vra del 1949 e da una lunga serie di patti inter­na­zio­nali fino alla Con­ven­zione Onu rati­fi­cata dal nostro Paese nel 1988 ma mai attuata, appare invece chiaro ai giu­dici euro­pei. Il col­le­gio pre­sie­duto da Päivi Hir­velä infatti scrive che il diritto penale ita­liano ha dimo­strato di essere «ina­de­guato» non solo per­ché non pre­vede alcuna san­zione con­tro i pub­blici uffi­ciali che abu­sando dei pro­pri poteri com­piono atti di «tor­tura» o anche solo «azioni disu­mane e degra­danti», ma anche per­ché è «privo di disin­cen­tivi in grado di pre­ve­nire effi­ca­ce­mente il ripe­tersi di pos­si­bili vio­lenze da parte della polizia».

Già un anno fa la Corte euro­pea, con­dan­nando l’Italia a risar­cire un uomo pic­chiato dai cara­bi­nieri, aveva bac­chet­tato anche la magi­stra­tura troppo spesso inerte davanti simili fatti.

E seb­bene qual­cosa si sia mosso, negli ultimi anni, da quando alcuni tri­bu­nali hanno sot­to­li­neato l’impossibilità di pro­ce­dere alla con­danna delle forze dell’ordine col­pe­voli di vio­lenza per man­canza di leggi appro­priate (G8 di Genova e caso Cuc­chi, primi tra tutti), il reato di tor­tura e il codice iden­ti­fi­ca­tivo per gli agenti di poli­zia non sono ancora stru­menti a disposizione.

Alla Camera però è calen­da­riz­zata già per domani la discus­sione ini­ziata il 23 marzo scorso sul ddl tor­tura, il cui testo è stato licen­ziato dal Senato nel marzo 2014 e modi­fi­cato dalla com­mis­sione Giu­sti­zia al fine di armo­niz­zarlo mag­gior­mente — ma non del tutto — alle con­ven­zioni inter­na­zio­nali. «Abbiamo innan­zi­tutto rad­dop­piato i tempi di pre­scri­zione che ora arri­vano fino a 24 anni — spiega la pre­si­dente della com­mis­sione Dona­tella Fer­ranti (Pd) — e abbiamo cer­cato di tipiz­zare meglio la fat­ti­spe­cie di reato, soprat­tutto nel caso di pub­blico uffi­ciale che abusa dei pro­pri poteri, spe­ci­fi­cando le fina­lità della con­dotta volta ad otte­nere infor­ma­zioni, a vin­cere una resi­stenza, per puni­zione o per discriminazione».

Ma la prima e più impor­tante “pecca” del testo, che dopo l’approvazione della Camera dovrà comun­que tor­nare in seconda let­tura al Senato, sta nel fatto che la tor­tura non è qua­li­fi­cata come reato pro­prio ma comune, quindi impu­ta­bile a qua­lun­que cit­ta­dino e non solo alle forze dell’ordine, come avviene in molti Paesi occi­den­tali. «È stata una scelta poli­tica — ammette Fer­ranti — ma non cam­bia nulla per­ché nel caso di reato com­messo da pub­blico uffi­ciale è pre­vi­sta un’aggravante con pena auto­noma, come se fosse un reato spe­ci­fico. Abbiamo scelto di non stra­vol­gere ulte­rior­mente il testo del Senato, dove comun­que si è svolto un alto dibat­tito per più di un anno, in modo da velo­ciz­zare l’approvazione finale. Ora mi auguro che la Camera approvi all’unanimità il prov­ve­di­mento, in modo da poter avere la legge defi­ni­tiva entro l’estate».

Il nuovo testo modi­fi­cato dalla com­mis­sione Giu­sti­zia puni­sce con la reclu­sione da 4 a 10 anni «chiun­que, con vio­lenza o minac­cia o vio­lando i pro­pri obbli­ghi di pro­te­zione cura o assi­stenza, inten­zio­nal­mente cagiona a una per­sona a lui affi­data o sot­to­po­sta alla sua auto­rità sof­fe­renze fisi­che o psi­chi­che». La pena è aggra­vata da 5 a 12 anni quando a tor­tu­rare è un inca­ri­cato di pub­blico ser­vi­zio, il quale può essere accu­sato anche di un nuovo reato, l’istigazione spe­ci­fica, punito con il car­cere fino a 3 anni anche se l’istigazione non è stata accolta e la tor­tura infine non c’è stata.

Per i codici alfa­nu­me­rici sulle divise invece c’è da aspet­tare di più, per­ché il governo ha di fatto bloc­cato i lavori in com­mis­sione Affari costi­tu­zio­nali del Senato sul testo pre­sen­tato da Sel e che avrebbe dovuto arri­vare in Aula la scorsa set­ti­mana, annun­ciando prov­ve­di­menti in que­sto senso in un pros­simo ddl sulla sicu­rezza urbana. «L’accordo con il mini­stro Alfano è che la com­mis­sione ana­liz­zerà con­tem­po­ra­nea­mente i due ddl — spiega la sena­trice di Sel Lore­dana De Petris — Ma aspet­te­remo ancora quin­dici giorni, poi, se il ddl gover­na­tivo non arri­verà, faremo pres­sioni per ripren­dere i lavori sul nostro testo e intro­durre i codici con i quali a Genova si sareb­bero potuti iden­ti­fi­care i torturatori».

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