Sudafrica Rabbia e caccia agli stranieri Fine del Paese arcobaleno?

by redazione | 19 Aprile 2015 9:54

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Su una cosa tutti sembrano essere d’accordo: l’ultima esplosione di violenza xenofoba in Sudafrica ha le sue radici nella devastante crisi economica che moltiplica i disoccupati nel Paese simbolo del continente. Almeno sei immigrati morti, decine di feriti, un centinaio di arresti — prima a Durban, sulla costa, poi a Johannesburg, cuore economico ancorato alla terra dell’altipiano centrale — e la polizia in assetto antisommossa a pattugliare le strade delle baraccopoli, hanno rigettato lo Stato arcobaleno sull’orlo di un’esplosione generale di violenza. «Questa volta, però — ha detto il ministro di Polizia Nathi Nkhleko — non si vedono bianchi inseguiti per le strade. Quello che si vede sono solo africani, gli uni contro gli altri».
Il presidente Jacob Zuma ieri, vista la gravità della situazione, ha cancellato un viaggio in Indonesia e si è recato in un campo di accoglienza organizzato alla bell’e meglio per ospitare gli stranieri fuggiti dai loro (fatiscenti) quartieri presi d’assalto da una folla armata di machete e coltellacci. «È necessario che i leader lavorino assieme perché la situazione torni alla normalità — ha dichiarato Zuma —. Ma sia chiaro: noi fermeremo la violenza senza esitare». Poi, rivolgendosi ai rifugiati in un centro di Chatsworth, a sud di Durban (e in diretta televisiva) ha chiarito: «Chi di voi ora preferisce andare a casa, lo faccia senza problemi: sarete tutti i benvenuti quando, terminata la violenza, vorrete tornare indietro». Frasi che avevano lo scopo di rasserenare gli animi, certo. Ma anche fermare sul nascere l’imbarazzo internazionale in cui il Paese simbolo della lotta all’apartheid si è ritrovato, nel giro di poche settimane, di fronte ai propri vicini.
Persino Robert Mugabe, il padre-padrone dello Zimbabwe, più volte criticato dal governo sudafricano (e dallo stesso Mandela) per la durezza del suo regime, si è sentito in dovere di indirizzare una protesta verso Pretoria. «Vorrei esprimere il nostro choc e disgusto nell’esecrare gli incidenti accaduti a Durban dove cinque o sei persone sono state arse vive da membri della comunità zulu», ha detto nel corso di una cerimonia per il 35esimo anniversario dell’indipendenza dello Zimbabwe. «Tali atti non possono essere perdonati. Non devono mai più accadere in Sudafrica o in qualsiasi altro Paese del Continente».
La storia recente del Sudafrica, tuttavia, è costellata di atti di xenofobia. Sin dal ritorno alla democrazia, nei momenti di maggiore tensione economica, i quartieri dove migliaia di «stranieri», africani provenienti soprattutto da Zimbabwe e Mozambico ma anche da Paesi più lontani come il Malawi, il Congo e altri, venivano indicati da folle inferocite come i «responsabili» di tutti i mali del momento. «Gli stranieri ci rubano il lavoro, gli stranieri ci rubano il pane» sono gli slogan che in un attimo trasformano una baraccopoli in un campo di battaglia. Gli immigrati, per lo più illegali, sono affrontati nei loro negozi di beni a buon mercato, oppure inseguiti nelle strade e costretti a parlare per rivelare la loro origine. A quel punto, la sentenza è scritta e il fuoco l’arma della «giustizia sommaria».
Paradosso nel paradosso. Il Sudafrica, con i suoi 50 milioni di abitanti e un dieci per cento (stimato) di stranieri, resta, nonostante le enormi disparità economiche, la disoccupazione endemica nelle aree popolate soprattutto da neri, un faro nell’Africa australe che attira ogni anno migliaia di disperati in fuga dalla guerra, dalla carestia, o semplicemente dalla normale miseria del Paese natale. Un contesto in cui le mafie impegnate nel traffico di esseri umani prosperano: e questo non sorprende proprio .
Paolo Salom
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