Quelle spine sulle sanzioni alla Russia e sull’ipotesi di un intervento in Libia

by redazione | 18 Aprile 2015 8:51

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WASHINGTON Niente conferenza stampa nel Giardino delle rose (tempo incerto, meglio la East Room), ma accoglienza calorosa e mazzi di rose con qualche spina per Matteo Renzi per la sua prima visita alla Casa Bianca da capo del governo italiano. Mazzi di rose perché Barack Obama non solo ha parlato in termini estremamente positivi dei rapporti attuali e dei legami storici tra i due Paesi, ma ha attribuito all’Italia un ruolo da leader nel promuovere il ritorno dell’Europa a una politica di crescita economica. Un cambio di tono non da poco rispetto agli anni nei quali il nostro Paese era sotto costante osservazione, sempre considerato sull’orlo del baratro e Obama si sforzava di rassicurare la sua opinione pubblica e i mercati: «L’Italia ce la farà».
Oggi il clima è diverso, Obama dà quasi per scontata l’efficacia delle riforme italiane, le tratta come un capitolo realizzato (anche se ancora mancano diversi tasselli) e si concentra soprattutto sul ruolo che Roma può giocare in Europa. Un riflesso anche della gestione positiva del semestre di presidenza italiana dell’Unione Europea che, dal punto di vista di Washington, è servito a spingere anche la Germania ad abbandonare politiche economiche basate solo sull’austerity che hanno frenato lo sviluppo: un risultato ottenuto senza provocare lacerazioni con la Germania di Angela Merkel.
Riconoscimenti ai quali Renzi ha risposto abbracciando in pieno il modello economico americano: «Juncker e Mario Draghi al penultimo vertice europeo ci hanno mostrato le “slides” relative all’andamento delle economie dalla crisi del 2008 ad oggi: l’America è tornata a una crescita sostenuta e ha quasi dimezzato la disoccupazione, pur avendo ridotto sostanzialmente il suo deficit pubblico. L’Europa, con la sola austerità, è rimasta inchiodata, non è andata da nessuna parte».
Ora l’Italia si sforza di ripartire: «Offriamo agli investitori che vogliono venire in Italia un mercato del lavoro più flessibile, una manodopera preparata, ottimi ingegneri, mentre sistema giudiziario, fisco e pubblica amministrazione stanno cambiando rapidamente: anche qui contiamo di completare entro sei mesi il varo delle riforme».
Tra tante rose, però, c’è anche qualche spina. Viene da una risposta, l’unica dal tono poco caloroso, data da Obama sui rapporti con la Russia: è evidente che rimane una differenza d’approccio al rapporto con Putin. Qualche giorno fa il nostro ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, ipotizzava una riduzione delle sanzioni nei confronti di Mosca, visto che si sta assistendo, in Ucraina, ad un sostanziale rispetto degli accordi di Minsk. Per Obama, invece, non bisogna concedere nulla a chi calpesta principi fondamentali come l’inviolabilità delle frontiere. E le sanzioni, scandisce Obama, «devono almeno restare al loro livello attuale».
Più complessa l’analisi del problema Libia, la questione cruciale di questo vertice: la sensazione è che l’Italia, preoccupata per il possibile fallimento degli sforzi diplomatici in corso da ormai molto tempo per spingere le varie fazioni a formare un governo d’unità nazionale, voglia prepararsi a una possibile emergenza estiva nel Mediterraneo che potrebbe richiedere, se non un intervento militare in grande stile, almeno alcune mirate azioni antiterrorismo con attacchi chirurgici dal cielo. Per questo si era parlato di una richiesta di utilizzare i droni armati Usa, se necessario. Obama ha escluso che si sia parlato di questo ed ha aggiunto di non pensare che la crisi libica si possa risolvere solo con qualche attacco di droni. Anche da parte italiana sono stati espressi concetti simili, ma Renzi ha specificato che si arriverà alla stabilizzazione della Libia solo se le sue tribù si metteranno d’accordo e ha aggiunto di sperare che il Mediterraneo resti un mare e non diventi un cimitero.
Quanto agli interventi antiterrorismo, il premier, dopo aver confermato che l’Italia resterà in Afghanistan più a lungo del previsto su richiesta americana, si è detto soddisfatto dell’impegno politico di Obama a svolgere azioni di sostegno se necessario: «Il resto sono questioni che verranno valutate sul piano tecnico». Probabilmente c’è del non detto: oggi Roma non parla di azioni militari in Libia ma solo due giorni fa era stato il ministro Gentiloni ad ipotizzarle. E Obama, che chiaramente non vuole ufficializzare alcun impegno, fa comunque capire che l’Isis verrà combattuto ovunque (anche in Libia, quindi) e che non si lascerà che il Paese nordafricano divenga un porto sicuro per il terrorismo come accadde anni fa per la Somalia. E fa un accenno sibillino a risultati che si vedranno «nelle prossime settimane».
Massimo Gaggi
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