NEW YORK Quando ha incontrato, una settimana fa alla Casa Bianca, Matteo Renzi, Barack Obama già sapeva che una delle vittime dell’attacco del 15 gennaio al «compound» di Al Qaeda era quasi certamente Giovanni Lo Porto. Ma ha scelto di non parlarne col premier italiano senza avere prima certezze assolute.
La gravità del caso era, però, già emersa, tanto che il presidente Usa aveva ordinato a suoi servizi segreti di preparare la «declassificazione» dei due attacchi dei droni che avevano dato esiti imprevisti (la morte di due ostaggi e anche quella di due americani reclutati da Al Qaeda che Obama non aveva deciso di eliminare). Lo ha scritto ieri Peter Baker sul New York Times e la Casa Bianca non ha smentito quello che è forse il più autorevole dei corrispondenti accreditati presso la presidenza.
Viene da chiedersi come abbia fatto Obama a ridere e scherzare col premier e a pranzare affabilmente con Renzi, ostentando apprezzamento per il vino toscano che lui gli aveva appena regalato, sapendo che di lì a poco avrebbe dovuto rivelargli questa drammatica vicenda. Il leader italiano si è limitato a definire corretta la scelta di Obama di parlare della vicenda solo dopo aver raggiunto una certezza assoluta. Probabilmente la spiegazione del caso è più complessa: impone di tener conto di un numero maggiore di attori e dell’atteggiamento psicologico di un «commander-in-chief» chiamato a prendere ogni giorno decisioni di vita e di morte nella guerra contro il terrorismo. Colpirono i nervi d’acciaio di Obama che, quattro anni fa, rise, scherzò, fece satira alla cena dei corrispondenti il giorno prima dell’attacco che portò all’eliminazione di Osama Bin Laden.
Gli attacchi letali coi droni, che in alcuni casi provocano anche vittime civili, sono da tempo una realtà quotidiana nella vita del presidente: solo in Pakistan negli ultimi anni ne sono stati condotti 396 con un numero di morti (le stime dicono da 4.500 a 5.500) incerto, soprattutto per quanto riguarda i civili. Nel caso di Lo Porto è probabile che Obama abbia taciuto (nello Studio Ovale ha parlato con Renzi alla presenza delle due delegazioni, solo a pranzo è rimasto per qualche momento solo col premier) anche perché consapevole che i servizi segreti dei due Paesi si scambiano continuamente informazioni sulle minacce terroristiche che gravano sull’Occidente e anche sulla ricerca degli ostaggi. Insomma, Renzi non ha parlato di questo con Obama, ma forse aveva già saputo attraverso l’«intelligence» dei dubbi americani sul destino del cooperante italiano.
Per Obama sicuramente una delle prove più dure della sua presidenza: fonti della Casa Bianca lo descrivono infuriato quando ha saputo degli errori commessi e profondamente angosciato quando ha dovuto chiamare Renzi e i familiari di Weinstein per confessare quanto accaduto. Al tempo stesso il presidente non può privarsi di un servizio di «intelligence» che gli offre ogni giorno uno sguardo unico sul mondo. E così, dopo essersi autoaccusato e scusato davanti al mondo, ieri è andato alla celebrazione del decimo anniversario dall’istituzione dell’ufficio della National Intelligence, il coordinamento tra i vari servizi segreti, per elogiare gli uomini che ogni giorno lavorano nell’oscurità per garantire la sicurezza degli Stati Uniti e dei suoi alleati.
Un Obama ancora cupo, che ha ricordato di nuovo la tragedia di Lo Porto: «Il nostro cuore sanguina quando si perdono le vite di innocenti, ma non prendiamo alla leggera il nostro compito. Siamo consapevoli della responsabilità solenne che ci è stata data» .
Massimo Gaggi