Non solo Pigs, cresce il debito globale

by redazione | 24 Aprile 2015 15:41

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Che nel mondo ci sia un livello com­ples­sivo di inde­bi­ta­mento, con­si­de­rando insieme quello dei pri­vati, delle imprese e del set­tore pub­blico, troppo ele­vato e in con­ti­nua cre­scita appare pro­ba­bil­mente vero.

Un recente rap­porto Mckin­sey (Mckin­sey Glo­bal Insti­tute, Debt and (not much) dele­ve­ra­ging, www?.mckin?sey?.com, feb­braio 2015) indica come il debito com­ples­sivo a livello mon­diale sia aumen­tato di 57 tri­lioni di dol­lari tra il 2007 e il 2014, rag­giun­gendo alla fine di quest’ultimo anno i 200 tri­lioni. La sua inci­denza sul pil mon­diale è pas­sata paral­le­la­mente dal 270% al 286%.
Sem­bra che non si sal­vino ora né i paesi ric­chi né quelli emer­genti e nean­che quelli usciti indenni dalla crisi.

Vogliamo ricor­dare che da parte della destra ci si è sem­pre pre­oc­cu­pati del livello con­si­de­rato sem­pre come troppo ele­vato del debito degli Stati, molto meno di quello pri­vato; in con­se­guenza, si chiede in ogni occa­sione la ridu­zione del peso del set­tore pub­blico e dell’intervento dello stato in economia.

A sini­stra si è sem­pre guar­dato con più indul­genza al feno­meno. L’aumento del debito pub­blico è stato tra­di­zio­nal­mente visto come posi­tivo; esso può por­tare inve­sti­menti, svi­luppo dell’economia, occupazione.

Si pensi ad esem­pio, alla cre­scita, in que­sti anni, dell’economia dei paesi emer­genti, che dif­fi­cil­mente avrebbe potuto avere luogo senza di esso. O alla situa­zione con­tra­ria di paesi come la Ger­ma­nia e gli Stati Uniti, che hanno un sistema di infra­strut­ture che avrebbe biso­gno di essere for­te­mente miglio­rato, ciò che non suc­cede per­ché i reg­gi­tori di tali paesi vogliono man­te­nere i livelli di debito e di defi­cit pub­blico entro limiti molto stretti.

Appare dif­fi­cile valu­tare quale sia un livello di debito da con­si­de­rare come ecces­sivo per il set­tore pub­blico come per quello pri­vato. Il giu­di­zio va in effetti col­le­gato a molte varia­bili.
Biso­gne­rebbe intanto con­si­de­rare che un aumento dell’indebitamento può ser­vire ad obiet­tivi molto diversi: si può così distin­guere tra i pre­stiti posti in essere per finan­ziare una poli­tica di svi­luppo, quelli neces­sari per supe­rare una situa­zione di tem­po­ra­nea illi­qui­dità, quelli infine che si chie­dono per coprire un qua­dro di pro­gres­sivo dissesto.

D’altro canto, i debiti pos­sono essere usati per impie­ghi diversi da quelli dichia­rati, o pos­sono per­dersi in gran parte nei mean­dri di una buro­cra­zia cor­rotta ed inef­fi­ciente. Nel caso del debito pub­blico greco o di quello ita­liano si può cer­ta­mente deplo­rare il fatto che esso sia stato poco uti­liz­zato per finan­ziare lo svi­luppo ed invece molto per impie­ghi clien­te­lari.
Tra le varia­bili da con­si­de­rare biso­gne­rebbe poi ana­liz­zare il suo costo e la gene­ra­zione dei futuri flussi di cassa; per il debito pub­blico, biso­gne­rebbe met­tere in conto i tassi di cre­scita dell’economia, il livello di infla­zione del paese, la per­cen­tuale di debito dete­nuta da ope­ra­tori esteri, il regime dei cambi, ecc..

È stata dimo­strata la scarsa fon­da­tezza della nota teo­ria avan­zata qual­che anno fa da Car­men M. Rei­nardt e Ken­net S. Rogoff secondo la quale un rap­porto debito pubblico/pil che superi il 90% sia da con­si­de­rare come troppo ele­vato. Tra l’altro, anche la base dei dati su cui pog­giava la tesi appa­riva molto fragile.

Nel caso cinese abbiamo assi­stito negli scorsi anni ad un forte aumento dei livelli dell’indebitamento com­ples­sivo: si è pas­sati da un rap­porto che era pari al 150% del pil nel 2008 ad uno del 280% circa del 2014. Non manca qual­che pre­oc­cu­pa­zione in pro­po­sito, ma biso­gna intanto con­si­de­rare che l’economia del paese cre­sce ancora del 7% all’anno, che la grande mag­gio­ranza dei debiti è dete­nuta in patria, che in molti casi i cre­di­tori e i debi­tori rispon­dono allo stesso padrone, il governo e che i pre­stiti sono for­te­mente con­cen­trati nei governi locali e in un ristretto numero di imprese (The Eco­no­mist, 18 aprile 2015).

Il debito ita­liano non solo è più ele­vato di quello cinese, supe­rando ormai abbon­dan­te­mente il 300% del pil, ma esso deve pre­oc­cu­pare molto di più del primo a livello della sua soste­ni­bi­lità, essendo le pro­spet­tive di cre­scita dell’economia e quelle dell’inflazione molto negative.

Alla fine, appare dif­fi­cile con­te­stare il fatto che il mondo naviga oggi in una grande bolla debi­to­ria da cui sem­bra molto dif­fi­cile uscire. Ci tro­viamo peral­tro, a livello mon­diale, con­tem­po­ra­nea­mente con troppe liqui­dità ed un eccesso di risparmi sugli inve­sti­menti. Le due cose sono, per altro verso e almeno in parte, collegate.

Un merito dello stu­dio McKin­sey è quello di rac­co­man­dare nuove vie per gover­nare almeno il pro­blema del debito. Esso indica strade come quelle di una migliore ripar­ti­zione dei rischi tra cre­di­tori e debi­tori, senza lasciare invece tutto il peso sui debi­tori, di una ristrut­tu­ra­zione delle sca­denze e, almeno in alcuni casi, della can­cel­la­zione pura e sem­plice di quanto dovuto.
Uno dei meriti anche del nuovo governo greco è quello di aver posto la que­stione in una luce nuova, quella di una neces­sità di cam­biare poli­tica. Ci vor­rebbe in ogni caso, in gene­rale, una qual­che forma di coor­di­na­mento a livello mon­diale di tali feno­meni. Sarebbe neces­sa­rio arri­vare ad un rile­vante aumento degli inve­sti­menti, di cui non manca certo la neces­sità, a livello pub­blico come a quello pri­vato, in pre­senza anche di risparmi abbon­danti. Il pro­blema è che nes­suno sem­bra dispo­sto ad accol­larsi una parte del carico rela­tivo ad una risi­ste­ma­zione degli assetti finan­ziari del mondo. E in Europa nes­suno sem­bra dispo­sto a darsi troppo da fare per il debito greco.

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