L’Isis si allarga all’Afghanistan. Questo il significato più preoccupante dell’attentato che ieri ha colpito Jalalabad, capoluogo della provincia orientale di Nangarhar, al confine con le «zone tribali» pachistane. Il bilancio è uno dei più tragici degli ultimi 12 mesi: 35 morti e 125 feriti. L’attentatore, forse un kamikaze arrivato in moto, si è fatto esplodere di fronte alla filiale locale della Kabul Bank, dove centinaia tra agenti ed impiegati governativi stavano ritirando gli stipendi. Pare che una seconda esplosione abbia poi ucciso alcuni feriti e i primi soccorritori. Una terza carica sarebbe stata disinnescata dagli artificieri. Una tattica già tristemente nota nella lunga guerra con gli estremisti talebani dalla metà del decennio scorso: i responsabili volevano uccidere il massimo numero di persone e sfidare apertamente le autorità di Kabul.
L’attentato potrebbe marcare l’avvio di un nuovo capitolo nelle vicende del Paese, destabilizzato da dopo l’invasione americana del 2003. Questa volta i talebani non avrebbero alcuna responsabilità. Loro stessi condannano l’attacco. «È stata un’azione diabolica. Noi non c’entriamo», fa sapere alla stampa il loro portavoce Zabihullah Mujahid. In Afghanistan prevale la certezza che a colpire siano state le nuove colonne dello Stato Islamico (Isis), che hanno deciso di operare dalle regioni pashtun sul confine con il Pakistan. Da oltre due anni centinaia di ex talebani afghani e pachistani si sono uniti a Isis, da Mosul a Raqqa. La chimera radicale del Califfato centuplica i vasi comunicanti tra le varie province dell’universo sunnita e attira continuamente nuove reclute. «Sembra che questa sia l’operazione più grave compiuta da Isis nelle nostre regioni», segnalano gli osservatori a Kabul. E Shahidullah Shahid, ex portavoce dei talebani pachistani, ha rivendicato il massacro di Jalalabad in nome di «Isis in Afghanistan».
Il presidente afghano, Ashraf Ghani, aveva parlato dell’allarme Isis nel suo Paese anche al presidente Obama durante una visita a Washington il mese scorso. A dicembre la Nato ha ritirato le ultime unità combattenti, restano 12.000 uomini per lo più con compiti di addestramento. Ieri, dopo aver condannato «l’attacco terrorista codardo e odioso», Ghani ha fatto appello al leader talebano, Mullah Omar, a fare «fronte comune» contro Isis. Difficile che possa accettare. Tuttavia, è risaputo che il «marchio» vincente di Isis attira le simpatie tra i giovani pashtun (alcune fonti indicano sino a 5.000 nuove reclute). Lo stesso Califfo, Abu Bakr al-Baghdadi, dalla Siria ha definito il leader talebano uno «stupido che non conosce l’Islam».
Lorenzo Cremonesi