Libia, Renzi chiede agli Usa di usare i droni

by redazione | 17 Aprile 2015 8:58

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WASHINGTON Fiducia, consacrazione e Libia sono le tre parole-chiave della prima visita di Matteo Renzi a Washington da capo del governo italiano. Il premier arriva nella capitale americana dopo molte altre missioni all’estero, ma aveva già creato un rapporto solido con Barack Obama in occasione della visita del presidente americano a Roma un anno fa e dei quattro vertici internazionali (G-7, G-20, Nato e il summit nucleare dell’Aia) nei quali i due leader si sono incontrati.
Sul piano del protocollo, l’accoglienza americana a Renzi è quella riservata a personalità di grande riguardo: conferenza stampa congiunta nel Giardino delle rose e alloggio alla Blair House. L’ultima volta questa prestigiosa residenza era stata offerta da George Bush al suo amico Silvio Berlusconi. I segnali visibili sono, insomma, quelli di un benvenuto caloroso, ma la missione, che dovrebbe avere per il leader italiano il sapore di una consacrazione definitiva sulla scena internazionale, ha anche aspetti delicati. Tre le insidie di cui tener conto. Il problema principale resta il rapporto con la Russia.
Non è un mistero che sull’atteggiamento da tenere con Putin ci siano state incomprensioni e perplessità che in occasione della visita di Renzi al Cremlino, a marzo, si erano materializzate anche in una nota di «puntualizzazioni» inviata dalla Casa Bianca al Corriere . Non un vero incidente: Roma ha spiegato che sta cercando di tenere aperto un canale di dialogo, mentre sulle sanzioni contro Mosca non ci sono stati cedimenti, nonostante l’Italia sia il Paese che paga il prezzo economico più alto, dopo la Germania, per le tensioni con la Russia. Gli americani hanno capito, ma la diversità di atteggiamento rimane: mentre, ad esempio, il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni ieri ipotizzava sul Corriere una riduzione delle sanzioni se si continuerà a registrare un rispetto sostanziale degli accordi di Minsk, da parte americana si tende a considerare quello di Putin un cambio di atteggiamento strategico — dalla collaborazione alla contrapposizione con l’Occidente — che richiede un ripensamento dei rapporti con Mosca.
Sull’altro grande tema della visita, la Libia, sicuramente quello principale per gli interessi del nostro Paese, Renzi troverà un presidente americano favorevole ad affidare all’Italia un ruolo di punta per la stabilizzazione del Mediterraneo e di guida di un’eventuale coalizione occidentale. Ma, come nota un alto diplomatico dell’Onu, Washington continua a mostrarsi poco disponibile a un coinvolgimento operativo, se non come supporto logistico, davanti a un Paese sprofondato in una frammentazione tribale indecifrabile.
Renzi è consapevole di queste difficoltà, sa che l’Italia dovrà assumersi responsabilità importanti, ma oggi tenterà di ottenere la disponibilità Usa a impiegare i suoi droni armati in Libia qualora si dovessero rendere necessarie azioni mirate antiterrorismo, magari indirizzate contro minacce individuate dall’intelligence italiano.
Ieri, in un incontro con gli studenti della Georgetown University, oltre a parlare del futuro dell’Italia («tornerà la meritocrazia: posso perdere le prossime elezioni ma non la faccia davanti a voi su questo impegno») e a rispondere a domande come quella di uno studente turco sul genocidio degli armeni («quello che ha detto il Papa è chiaro: sono fatti di 100 anni fa, ma la Turchia deve rispettare i valori europei: è un partner importante, ma la sua integrazione dipende da Ankara»), Renzi ha anticipato il tema libico di oggi: «Nel Mediterraneo rischiamo di perdere la nostra dignità, dobbiamo affrontare il dramma umanitario, ma anche combattere il legame sempre più evidente tra traffico di esseri umani e terrorismo». Un riferimento alla possibilità di interventi antiterrorismo di cui si discuterà oggi.
Del resto anche Obama ha qualcosa da chiedere a Renzi: l’impegno a non tagliare l’acquisto dei supercaccia F35 (prodotto Lockheed realizzato con la collaborazione dell’Alenia-Finmeccanica e assemblato in Italia) e un rinvio almeno a metà 2016 del ritiro del contingente italiano in Afghanistan (base di Herat). La risposta di Renzi dovrebbe essere positiva. La terza insidia per il premier è di tipo caratteriale: col suo atteggiamento aperto, Renzi ha sicuramente creato un rapporto di simpatia con Obama che tuttavia, da personaggio cerebrale quale è, forse preferiva dialogare con un leader più simile a lui come Enrico Letta. Cerebrale ma pragmatico e interessato soprattutto a sostenere lo sviluppo economico, Obama è comunque riconoscente a Renzi non solo per le riforme fatte in Italia che dovrebbero stabilizzare il Paese sottraendolo a una pericolosa deriva greca, ma anche per il modo in cui ha gestito il semestre italiano di presidenza della Ue: è piaciuto il contenimento degli eccessi di austerity della Germania fatto dal governo Renzi con insistenza ma anche smussando gli angoli.
Massimo Gaggi e Marco Galluzzo
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