by redazione | 14 Aprile 2015 10:11
Gli attentati contro Charlie Hebdo[1] e l’HyperCacher[2] del 7–9 gennaio scorso e il cyber-attacco contro Tv5 Monde [3]nella notte tra l’8 e il 9 aprile avranno una risposta legislativa, come avviene ormai da più di un decennio, ogni volta che viene commesso un crimine terrorista: da ieri e fino al 16 aprile, l’Assemblea discute, con procedura d’urgenza (un solo passaggio per Camera), il disegno di legge del governo sui servizi segreti, destinato a passare anche con i voti della destra.
Lo scopo è dare un quadro legale alle pratiche clandestine già da tempo utilizzate dalle sei strutture in cui si divide l’intelligence francese.
Il testo di legge, che comprende una quindicina di articoli (e sul quale sono già stati presentati 360 emendamenti), è contestato dalle organizzazioni di difesa dei diritti umani, dai sindacati della magistratura (non solo di sinistra), dai presidenti di commissioni di controllo sulle libertà (Cnil e Cncis), dagli avvocati, dai giornalisti, dai providers e dalle società che ospitano dati informatici, che minacciano di esiliarsi all’estero per sfuggire alle nuove norme.
La legge è accusata di imporre in Francia una sorveglianza di massa. I servizi non dovranno più sollecitare una sorveglianza giuridica dei loro atti, ma potranno agire liberamente con la sola giustificazione di generici “sospetti”. Le operazioni di sorveglianza riceveranno l’autorizzazione del primo ministro, sentito il parere di una nuova struttura, la Commissione nazionale del controllo tecnico dei servizi di informazione, composta di nove membri (tra cui dei magistrati). Ma tutte queste precauzioni saltano in aria in caso di “urgenza”, per una “minaccia imminente”: i servizi potranno intercettare, spiare e raccogliere ogni tipo di dati senza controlli.
Preoccupa anche l’estensione del campo di azione dei servizi, che limita il rispetto della vita privata e potrebbe anche ledere la libertà di manifestare, come sta succedendo in Spagna con la legge di “sicurezza cittadina”.
E’ legalizzata la raccolta dati extragiudiziaria nei casi di sospetti di minacce relative all’indipendenza nazionale, all’integrità del territorio, alla difesa, agli interessi della politica estera, dell’economia, oltre al terrorismo e alla criminalità organizzata.
La raccolta dati servirà a prevenire “violenze collettive che possono ledere la sicurezza nazionale” (il governo avrebbe voluto la formula: “la pace pubblica”, che poteva colpire direttamente anche le manifestazioni sindacali). E vari ministeri – Difesa, Interni, Giustizia e anche le dogane – potranno attingere a questi dati senza controlli.
Sono estesi i metodi di raccolta dati, con la legalizzazione di nuove tecnologie, i Imsi-catchers e le “scatole nere”, cioè delle “valige” che permettono di geo-localizzare e registrare tutte le comunicazioni entro un certo raggio, e il ricorso a algoritmi che analizzano meta-dati a distanza, per individuare “segnali deboli” di pericolosità. Si ribalta quindi l’azione: tutti diventano sospetti, la sorveglianza è generalizzata per poter individuare delle minacce (ci sono alcune protezioni di legge, ma facilmente aggirabili con la scusa dell’urgenza).
Dati di computer e telefonia mobile potranno venire registrati dai servizi speciali, non solo del sospetto ma anche di tutti coloro che in qualche modo entrano in contatto con lui. Potranno venire intercettate conversazioni e immagini private, con software spia, microfoni o telecamere.
Non è chiaro per quanto tempo verranno conservati questi dati.
Il primo ministro Manuel Valls rassicura: “Non si tratta in nessun caso di mettere in atto mezzi da stato di emergenza o una sorveglianza generalizzata dei cittadini”. Ma la sorveglianza ravvicinata dei servizi speciali non riguarderà solo presunti terroristi, jihadisti, narcotrafficanti, trafficanti d’armi, spie nemiche, ma potenzialmente anche manifestanti, ricercatori, indipendentisti e i cittadini qualunque che possono svolgere “un ruolo da intermediari”, che sia “volontario o no”.
Per l’avvocato Henri Leclerc, presidente onorario della Lega dei diritti dell’uomo, “il testo di legge organizza una sorveglianza di massa attraverso misure tecniche che ledono chiaramente il rispetto della vita privata, praticamente non è stata presa nessuna precauzione per proteggere il segreto professionale di giudici, avvocati o giornalisti”.
Non è ancora un Patriot Act alla francese, ma per il relatore del disegno di legge, il socialista Jean-Jacques Urvoas, “in questo campo, gli Usa sono un esempio”.
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