L’enigma di Tsipras

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LA SOLA cosa che si possa dire a difesa del rapporto fra Alexis Tsipras e Yanis Varoufakis è che non può essere peggio di quello fra la Grecia e il resto d’Europa. Alla Banca centrale europea, il premier di Atene avrebbe fatto capire che non si deve dar troppo ascolto al suo ministro delle Finanze. Questi si sarebbe preso la propria rivalsa evitando di informare il primo ministro del contenuto di importanti scambi di idee con i negoziatori europei.
INEVITABILE che poi questi restino senza parole quando si rendono conto, di fronte a Tsipras, che devono spesso tornare a discutere tutto da zero. La lista delle stranezze potrebbe continuare. In un recente convegno a Parigi, Varoufakis, figlio di un importante oligarca greco della siderurgia, ha dato l’impressione di essere seguito come un’ombra da una sorta di “commissario politico” di Syriza nella persona del viceministro degli Esteri Euclid Tsakalotos. Il ministro delle Finanze, che non si è mai iscritto al partito di governo, ha spiegato agli organizzatori dell’incontro che non avrebbe potuto prendere la parola se l’ignoto (e non invitato) Tsakalotos non avesse parlato subito dopo di lui. Ciò non ha impedito a Varoufakis pochi giorni dopo a Washington di scoprire con stupore, dicono i testimoni, che la Grecia ha un vice-direttore esecutivo nel Consiglio del Fondo monetario internazionale (in realtà, lo ha da decenni). Né ciò gli ha impedito di licenziare l’alto funzionario ellenico su due piedi il giorno seguente. Contrariamente a quanto pensavano i marxisti prima di Tsipras e Varoufakis, anche le personalità fanno la differenza nella storia. Alla fine, la faranno probabilmente anche in questa vicenda. Certo, pesano di più le forze che si muovono in profondità, i movimenti o la stasi nelle grandi maree sottostanti, e anche in questi giorni lo si è visto intorno alla Grecia. Il brusco deterioramento dello spread, lo scarto nei rendimenti fra titoli decennali tedeschi e italiani, non dimostra solo che Atene ha conservato almeno parte della sua capacità di contagiare finanziariamente i Paesi più fragili di Eurolandia. Ricorda anche qualcos’altro: nell’area restano economie con vari gradi di vulnerabilità, a partire dall’Italia.
Nell’immediato la minaccia di un nuovo contagio ellenico è comunque contenuta dalla Bce: nell’ipotesi che davvero Atene possa precipitare in un default caotico e uscire dall’euro, la banca centrale di Francoforte in realtà ha già riflettuto su come concentrare nel tempo gli acquisti di titoli di Stato che già sta conducendo. Anziché intervenire per 60 miliardi al mese, per un certo periodo la Bce potrebbe farlo per somme doppie o triple, anche a costo di esaurire il suo programma di acquisti di titoli prima del previsto. Questo presumibilmente sederebbe i mercati almeno per adesso, anche se tutto in Grecia continuasse ad andare nel peggiore dei modi.
I tremori propagatisi da Atene in questi giorni, e la capacità del mercato dei titoli del Tesoro di crollare bruscamente in qualunque momento, ricordano però all’Italia anche un’altra realtà. Senza dirselo poi troppo, questo Paese sta riavvicinandosi pian piano a una bolla del credito e la scossa provocata dalla Grecia ieri lo ha in qualche modo rivelato. Non ha alcun senso, sulla base dei fondamentali delle economie, che i titoli decennali americani debbano offrire un premio al rischio dello 0,40% superiore agli omologhi italiani come se fossero davvero più pericolosi. La sensibilità dimostrata alla vicenda greca rivela come un’Italia che non si autoriforma più a fondo, anziché promettere tesoretti tutti da dimostrare, può finire di nuovo fuori equilibrio e poi pagarne un alto prezzo in seguito.
A maggior ragione, un accordo fra Atene e l’area-euro nelle prossime settimane è disperatamente necessario e per questo conteranno le personalità dei protagonisti. Quella di Tsipras resta tanto determinante, quanto illeggibile. Nei suoi primi cento giorni non ha fatto quasi nulla di coerente con il suo programma di sinistra, neanche misure che sarebbero state ben viste in Europa. Non ha agito contro la corruzione, né contro la grande evasione, né contro gli sgravi e le esenzioni riservate agli oligarchi dei cantieri navali. Ha eccitato le platee con richieste irrealistiche e provocatorie di “indennizzi” dalla Germania, senza capire che l’accordo sul quel fronte è immutabile perché legato alla definizione delle frontiere in Europa dopo la Guerra fredda.
A Tsipras in realtà ora resta un’opinione pubblica che a grande maggioranza lo sostiene (ma un po’ meno di prima) e in una maggioranza altrettanto grande vuole stare nell’euro e in Europa. Per riuscirci il premier greco ha bisogno di un compromesso che cambi in parte gli equilibri politici interni, emarginando le estreme, a destra e a sinistra, e aprendosi ad altri voti in parlamento o nel Paese. Tsipras viene da assemblee infuocate in sale piene di fumo ed è arrivato a incontri riservati con Merkel, Draghi, Putin. Ora deve decidere chi vuole essere e dove vuole che sia il suo Paese. Ormai lo sa solo lui, dipende solo da lui.


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