L’Egitto condanna l’ex leader Morsi Ma gli risparmia l’impiccagione
Gli è andata bene, perché rischiava la pena di morte. «Non mi farò condizionare dagli umori delle folle», aveva promesso il giudice Ahmed Sabry Youusef. Ci sono riuscite probabilmente le pressioni americane: derubricate le accuse d’omicidio, Morsi e altri dodici sono stati condannati per le violenze, i sequestri di persona e le torture. «La sentenza è nulla», protesta la Fratellanza che farà appello. «Questi giudici sono al servizio del generale golpista», commenta da Doha la guida spirituale, Yussef al-Qardawi. Forse, è solo la giustizia egiziana sempre sensibile al potente di turno: sotto Morsi incarcerò il clan Mubarak (salvo alleggerire il carico con l’arrivo di Al Sisi) e ora non ignora i miliardi che Usa e sauditi versano alla giunta militare anti-islamisti. «Un processo farsa», concorda Amnesty: con 24 difensori su 28 rigettati, 7 contumaci, una sfilza di testimoni ricusati, Morsi che rifiutava perfino di farsi chiamare «imputato» e non rispondeva alle domande, una corte composta più da militari che da civili…
L’amaro calice non è finito: in maggio, l’ex presidente sarà processato anche per spionaggio in favore del Qatar, mediante la cessione di documenti riservati alla Tv Al Jazira, per aver complottato con Iran-Hezbollah-Hamas, per frode finanziaria, addirittura per essere evaso dal carcere durante la rivolta 2011 contro Mubarak e per oltraggio alla corte. Di nuovo rischierebbe la pena di morte: in tutto il Medio Oriente, nessuno ne infligge più dell’Egitto, 194 condannati negli ultimi tre mesi e 509 l’anno scorso. Difficile però che rischi l’impiccagione: perché aizzare la piazza, quando si può sempre ricorrere all’ergastolo? Prima di far pendere il cappio, la legge esige il parere vincolante del Gran Muftì: difficilmente darebbe pollice verso a Morsi. E fra tanti morituri, finora, sul patibolo c’è finito soltanto un poveraccio.
Francesco Battistini
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