Alexis Tsipras ha deciso. Bisogna stringere per un accordo con i creditori. E il rimpasto del team di negoziatori con l’ex Troika è il primo segno che Syriza ha deciso di rinunciare a qualcuna delle sue “linee rosse”, i punti del programma su cui non sembrava disposta a fare marcia indietro. Il ridimensionamento di Yanis Varoufakis — che in patria godeva ancora di una popolarità ben superiore al 50% — è il primo ramoscello d’ulivo teso ai creditori. Non sarà l’ultimo. Lo ha spiegato Yannis Dragasakis, vice-ministro e nuovo uomo forte del team economico di Atene: “Non escludo che saremo costretti ad adottare misure che non avremmo voluto prendere”, ha confessato in un’intervista. Ribadendo che per la Grecia “è necessario arrivare a un accordo entro i primi giorni di maggio” per non finire con le spalle al muro per la drammatica crisi di liquidità.
La partita — lo sa anche Tsipras — non sarà facile. Ogni passo in direzione di Ue, Bce e Fmi è anche un passo che lo allontana dal Piattaforma di sinistra, l’ala più radicale di Syriza. Una trentina di parlamentari i cui voti saranno necessari per dare il via libera a qualsiasi intesa. Finora la minoranza interna ha tenuto i toni bassi, confrontandosi con il premier a porte chiuse e limitandosi a ribadire il suo “no” secco ai temi a lei più cari: privatizzazioni, pensioni e lavoro. Il redde rationem con i creditori potrebbe però surriscaldare il confronto. Un aperitivo c’è stato già quando Panagiotis Lafazanis, ministro dell’energia e leader dei radicali, ha contestato la decisione di Tsipras di confiscare la liquidità degli enti locali. Schermaglie finite in nulla, ma che il presidente del consiglio non sottovaluta visto che a febbraio – per evitare sorprese in Parlamento – ha evitato di far votare il primo accordo con la Ue.
Le prossime settimane saranno decisive e Tsipras sa che in ballo c’è il suo futuro politico. Syriza è ancora in testa nei sondaggi con 14 punti di vantaggio sul centrodestra di Nd. Ma il dato è in calo e la luna di miele post-elettorale sta esaurendo la sua forza propulsiva. La strada del compromesso sembra essere quella preferita dal paese: il 72% dei greci vuole rimanere nell’euro, il 51% sostiene (dati Alco) che va trovata in ogni caso un’intesa con i creditori mentre il 44,2% crede che — in assenza di sostegno parlamentare — il premier dovrebbe puntare a un governo di unità nazionale piuttosto che andare alle urne.
Si vedrà fino a che punto Tsipras è disposto a spingersi per tenere Atene nella moneta unica. I candidati a un governo “europeista” di coalizione — come sognano a Bruxelles — in teoria ci sono. To Potami è pronto a partecipare con i suoi 17 deputati. Lo stesso vale per i 13 del Pasok. Difficile però che il presidente del Consiglio si imbarchi in un’avventura così lontana dalle promesse elettorali. Più probabile che usi fino all’ultimo carisma e doti negoziali per tenere uniti i suoi. E il nuovo capo-negoziatore Euclid Tsakalotos, veterano di Syriza che conosce benissimo i quadri del partito, è molto più indicato del professor Varoufakis per far digerire a tutti il bagno di realismo cui si dovrà (forse) dire di sì.