Il mistero di Odevaine, da Mafia Capitale al contratto con il centro rifugiati di Mineo
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C’è un grande esperto di immigrazione e problemi connessi. Con un curriculum tale da far parte del Coordinamento nazionale sull’accoglienza dei profughi del ministero dell’Interno. Naturale, dunque, che sia chiamato come consulente dal presidente del consorzio di comuni incaricato di gestire il centro rifugiati più grande d’Europa che ha la grave incombenza di bandire una gara da quasi 100 milioni. Meno naturale è che il soggetto in questione venga assunto subito dopo come dipendente da chi ha bandito quella gara. Se poi il suo nome è Luca Odevaine, e risulta coinvolto nell’inchiesta su «Mafia Capitale» che ha svelato come il dramma dell’immigrazione sia potuto diventare un ricco business per apparentemente insospettabili cooperatori, le domande diventano inevitabili.
Perché un personaggio abituato a misurarsi con profili istituzionali ai massimi livelli partecipa a una selezione indetta dal direttore del consorzio per un posto di dipendente a tempo parziale? E chi decide quella selezione può ignorare chi sia Odevaine, quale ruolo abbia e soprattutto la circostanza che ha avuto fino a qualche giorno prima un incarico dal consorzio, dal quale si è tempestivamente dimesso prima di partecipare alla gara, vincerla e diventare dipendente dello stesso consorzio?
La storia è così intricata e piena di aspetti opachi che vale la pena mettere in fila alcuni dettagli.
Come detto, il Cara di Mineo, un paese di 5 mila anime in provincia di Catania, è il più grande d’Europa. Nel mese di aprile dello scorso anno il consorzio dei comuni che ha la rogna di gestire quel centro con oltre 3 mila immigrati deve fare una gara per i servizi: tre anni di durata per un importo a base d’asta di 97 milioni 983 mila euro. Si presentano in due e la spunta un raggruppamento di imprese guidato dal consorzio di cooperative sociali Casa della Solidarietà. Con un ribasso di appena l’1,00671 per cento. Lo sconfitto non abbozza e inoltra protesta formale all’ex autorità per la vigilanza sugli appalti pubblici, nel frattempo trasformata nell’autorità anticorruzione e affidata al magistrato anticamorra Raffaele Cantone.
Quando il procedimento viene aperto siamo a luglio 2014, e non è cominciata la tempesta di Mafia Capitale: i nomi Salvatore Buzzi e Massimo Carminati non occupano ancora le prime pagine dei giornali, le cooperative sociali del giro risultano immacolate. Ma è solo questione di tempo, poi scoppia il caso e il Cara di Mineo spunta anche lì.
Su questo giornale Fiorenza Sarzanini ha raccontato come secondo i carabinieri dei Ros l’obiettivo di Odevaine, che manovrava direttamente dal ministero dell’Interno, fosse quello di «orientare i flussi dei migranti transitati per Mineo verso centri di accoglienza vettori dei suoi privati interessi». Ed è il presunto ruolo del superesperto, già collaboratore dell’ex sindaco della Capitale Walter Veltroni e poi capo della polizia provinciale di Roma al tempo di Nicola Zingaretti, che innesca in Sicilia anche un’inchiesta sugli appalti del Cara di Mineo.
La faccenda si fa pesante, anche perché Cantone non se ne sta con le mani in mano. Il 5 marzo l’autorità anticorruzione sforna un parere esplosivo: i meccanismi tecnici, in gergo la lex specialis della procedure di gara d’appalto indetta dal consorzio «Calatino terra d’accoglienza» per la gestione triennale del Cara di Mineo è «illegittima per contrasto con il codice degli appalti e con i principi di concorrenza, proporzionalità, imparzialità ed economicità». Una mazzata mortale. Che arriva dritta pure al Viminale. Anche perché la tesi dell’Anac, leggi e regolamenti alla mano, si fonda fra l’altro sulla considerazione che non spetterebbe al ministero dell’Interno predisporre il capitolato di gara, come invece avvenuto. Tesi che il ministero, per bocca del prefetto Mario Morcone, ha invece rigettato, prefigurando una singolare e delicata contrapposizione (soltanto interpretativa?) fra strutture dello Stato.
Vedremo come andrà a finire. Per il momento il rapporto di dipendenza di Luca Odevaine dal Cara di Mineo è stato congelato.
Quel che sembra incontrovertibile, però, è che nessuno dei responsabili di quell’appalto, tanto al centro quanto in periferia, aveva letto il rapporto ustionante degli ispettori del Tesoro spediti dalla Ragioneria a passare al setaccio i conti del Comune di Roma, dove operavano le cooperative aggiudicatrici di quella gara, che avrebbe suggerito estrema cautela. O se qualcuno l’aveva letto, se l’era dimenticato. In quella relazione, ben precedente alla gara, c’era scritto che il consorzio Casa della Solidarietà era stato destinatario di incarichi milionari nel settore dell’accoglienza con tacite proroghe continue. Nel solo 2012, per un valore di 10,7 milioni. Modalità, sottolineavano gli ispettori, assolutamente censurabili al pari di quelle sollevate nello stesso documento per gli appalti assegnati tanto alla Domus Caritas, cooperativa collegata alla Casa della Solidarietà, quanto al consorzio Eriches 29 di Buzzi.
La storia è così intricata e piena di aspetti opachi che vale la pena mettere in fila alcuni dettagli.
Come detto, il Cara di Mineo, un paese di 5 mila anime in provincia di Catania, è il più grande d’Europa. Nel mese di aprile dello scorso anno il consorzio dei comuni che ha la rogna di gestire quel centro con oltre 3 mila immigrati deve fare una gara per i servizi: tre anni di durata per un importo a base d’asta di 97 milioni 983 mila euro. Si presentano in due e la spunta un raggruppamento di imprese guidato dal consorzio di cooperative sociali Casa della Solidarietà. Con un ribasso di appena l’1,00671 per cento. Lo sconfitto non abbozza e inoltra protesta formale all’ex autorità per la vigilanza sugli appalti pubblici, nel frattempo trasformata nell’autorità anticorruzione e affidata al magistrato anticamorra Raffaele Cantone.
Quando il procedimento viene aperto siamo a luglio 2014, e non è cominciata la tempesta di Mafia Capitale: i nomi Salvatore Buzzi e Massimo Carminati non occupano ancora le prime pagine dei giornali, le cooperative sociali del giro risultano immacolate. Ma è solo questione di tempo, poi scoppia il caso e il Cara di Mineo spunta anche lì.
Su questo giornale Fiorenza Sarzanini ha raccontato come secondo i carabinieri dei Ros l’obiettivo di Odevaine, che manovrava direttamente dal ministero dell’Interno, fosse quello di «orientare i flussi dei migranti transitati per Mineo verso centri di accoglienza vettori dei suoi privati interessi». Ed è il presunto ruolo del superesperto, già collaboratore dell’ex sindaco della Capitale Walter Veltroni e poi capo della polizia provinciale di Roma al tempo di Nicola Zingaretti, che innesca in Sicilia anche un’inchiesta sugli appalti del Cara di Mineo.
La faccenda si fa pesante, anche perché Cantone non se ne sta con le mani in mano. Il 5 marzo l’autorità anticorruzione sforna un parere esplosivo: i meccanismi tecnici, in gergo la lex specialis della procedure di gara d’appalto indetta dal consorzio «Calatino terra d’accoglienza» per la gestione triennale del Cara di Mineo è «illegittima per contrasto con il codice degli appalti e con i principi di concorrenza, proporzionalità, imparzialità ed economicità». Una mazzata mortale. Che arriva dritta pure al Viminale. Anche perché la tesi dell’Anac, leggi e regolamenti alla mano, si fonda fra l’altro sulla considerazione che non spetterebbe al ministero dell’Interno predisporre il capitolato di gara, come invece avvenuto. Tesi che il ministero, per bocca del prefetto Mario Morcone, ha invece rigettato, prefigurando una singolare e delicata contrapposizione (soltanto interpretativa?) fra strutture dello Stato.
Vedremo come andrà a finire. Per il momento il rapporto di dipendenza di Luca Odevaine dal Cara di Mineo è stato congelato.
Quel che sembra incontrovertibile, però, è che nessuno dei responsabili di quell’appalto, tanto al centro quanto in periferia, aveva letto il rapporto ustionante degli ispettori del Tesoro spediti dalla Ragioneria a passare al setaccio i conti del Comune di Roma, dove operavano le cooperative aggiudicatrici di quella gara, che avrebbe suggerito estrema cautela. O se qualcuno l’aveva letto, se l’era dimenticato. In quella relazione, ben precedente alla gara, c’era scritto che il consorzio Casa della Solidarietà era stato destinatario di incarichi milionari nel settore dell’accoglienza con tacite proroghe continue. Nel solo 2012, per un valore di 10,7 milioni. Modalità, sottolineavano gli ispettori, assolutamente censurabili al pari di quelle sollevate nello stesso documento per gli appalti assegnati tanto alla Domus Caritas, cooperativa collegata alla Casa della Solidarietà, quanto al consorzio Eriches 29 di Buzzi.
Sergio Rizzo
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