Il Jobs act è già spazzato via dagli esu­beri da «fusione globale»

by redazione | 18 Aprile 2015 8:45

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Per il governo Renzi la ver­tenza Whir­pool arriva nel momento peg­giore. A parte il rischio di per­dita di voti nelle vicine regio­nali — si vota sia in Cam­pa­nia che nelle Mar­che, le due regioni più col­pite dagli annun­ciati esu­beri — il governo era in piena cam­pa­gna media­tica per dimo­strare i suc­cessi del Jobs act. Ed ecco che la mul­ti­na­zio­nale ame­ri­cana con i suoi 1.350 esu­beri smac­chia il can­dore dei — pre­sunti — nuovi posti di lavoro post arti­colo 18, dimo­strando come la cre­scita sia ancora una chi­mera e le crisi azien­dali sono sem­pre all’ordine del giorno.

Se solo la poca avve­du­tezza di Renzi poteva por­tarlo a defi­nire «fan­ta­stica» la fusione fra due grandi gruppi glo­bali (Inde­sit e Whir­pool) che in Ita­lia hanno pro­du­zioni simili, le con­se­guenze nefa­ste delle nuove acqui­si­zioni estere nel Bel­paese rischiano di essere solo all’inizio.

Agli elet­tro­do­me­stici segui­ranno pre­sto i treni (con metro­po­li­tane e car­rozze). Seb­bene la giap­po­nese Hita­chi non abbia sta­bi­li­menti in Ita­lia, la sua acqui­si­zione di Ansaldo Breda — assieme al gio­iello della segna­le­tica Ansaldo Sts — pro­duce dop­pioni indu­striali che met­tono a rischio i posti di lavoro di Pistoia, Reg­gio Cala­bria e Napoli, per un totale di 1.974 dipen­denti che entre­ranno nella newco di pros­sima pro­pietà giapponese.

A breve sarà orga­niz­zato un incon­tro infor­male con il ver­tice di Hita­chi che ha avan­zato la pro­po­sta di acqui­sto delle aziende del set­tore fer­ro­via­rio. E il copione pare uguale a quello Whirpool-Indesit. Così come la tem­pi­stica: qual­che mese per pre­pa­rare il nuovo piano indu­striale e magari avver­tire il governo della «scelta ine­vi­ta­bile» dovuta «alla razio­na­liz­za­zione» e «inte­gra­zione degli stabilimenti».

Basta poi citare il caso dell’Alenia a Capo­di­chino per capire come Fin­mec­ca­nica sta sven­dendo il set­tore civile. E se su Whir­pool ed Fca il governo pare impo­tente, su i piani di Moretti e De Gen­naro è cor­reo e respon­sa­bile. La dizione «poli­tica indu­striale» è scom­parsa da una decina di anni e ormai le aziende di pro­prietà pub­blica non hanno alcuna remora a lasciare i pro­pri lavo­ra­tori in balia del mer­cato glo­bale pur di rac­cat­tare milioni per fare da toppa a buchi dovuti in gran parte alla cor­ru­zione e a scelte mana­ge­riali quanto meno ina­de­guate. Il tutto acca­nen­dosi sul Sud ed in par­ti­co­lare sulla Cam­pa­nia, allar­gando la desert­fi­ca­zione indu­striale nel mezzogiorno.

Il ragio­na­mento rischia poi di allar­garsi alla vec­chia Fiat e alla nuova Fca che ha appena salu­tato l’Italia tenendo la prima assem­blea in Olanda. La cor­tina fumo­gena del «bonus» e della «par­te­ci­pa­zione dei lavo­ra­tori agli utili azien­dali» potrebbe essere pre­sto squar­ciata dagli effetti dell’alleanza glo­bale che Mar­chionne punta ad otte­nere a breve per soprav­vi­vere sul mer­cato mon­diale. Se sarà Gm, gli ex nemici di Volk­swa­gen o un gruppo asia­tico (Mazda), il rischio di «sovrap­po­si­zioni di sta­bi­li­menti sugli stessi seg­menti» è die­tro l’angolo. Por­tando a numeri di esu­beri da far impal­li­dire i pochi nuovi con­tratti a tutele crescenti.

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