Il fronte della nuova lotta armata Azioni suicide e basi in Europa

Il fronte della nuova lotta armata Azioni suicide e basi in Europa

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WASHINGTON Un fronte che nuota nell’acqua della protesta. Elementi che cercano di sfruttare la grande rabbia contro il presidente Erdogan, il suo partito islamista Akp e i metodi repressivi. Sullo sfondo le elezioni politiche del 7 giugno. Ma, come osserva qualche analista, i terroristi «non paiono troppo intelligenti» o, peggio, sono complici di manovre opache, un classico della storia turca.
Giudizi ignorati dagli uomini e dalle donne con il volto mascherato. Il voto così come il risentimento sociale sono la cornice formidabile per rilanciare la lotta armata con atti eclatanti, capaci di catalizzare l’attenzione nel Paese e fuori dai confini. Il Dhkp-C, il movimento di ispirazione marxista leninista protagonista del sequestro del giudice, si è avvicinato per gradi all’appuntamento. Una marcia «rivoluzionaria» condotta negli ultimi tre anni con una progressiva riorganizzazione in Turchia e coordinata dai capi nascosti all’estero.
Alle base c’è l’Unità di propaganda armata. Classificazione in stile militare di un gruppo di fuoco formato, di solito, da tre membri, con un buon addestramento alle spalle. Negli ultimi tempi sarebbero scesi a due, a causa di ostacoli al reclutamento, un aspetto sul quale però non c’è certezza. Obiettivi del nucleo sono i commissariati, gli uomini della Legge, gli avversari politici. Target tradizionali diventati i nemici anche di quanti hanno manifestato contro il progetto di Gezi Park voluto da Erdogan. È abbastanza evidente il tentativo del Dhkp-C (come di altri gruppuscoli) di saldarsi con la «piazza». I militanti non solo sparano ma animano spesso le notti di protesta, infiltrandosi in manifestazioni e dando agli incidenti un carattere insurrezionale.
Molto forte l’azione di proselitismo nelle aree storiche — Tunceli, Tokat in Anatolia centrale — così come nei quartieri popolari delle città turche. Qui hanno pescato «soldati» poi impegnati nella stringa di attacchi con armi da fuoco. Altri sono arrivati dalla grande diaspora europea. In Germania, Olanda, Belgio, Francia e Grecia le fazioni radicali ingaggiano volontari, raccolgono fondi e ricevono ordini da alcuni leader. Su tre di loro, gli Usa hanno offerto una taglia di 3 milioni di dollari. L’altra arma è quella delle azioni suicide, tattica usata fin dal 2010 e a volte affidata alle donne. Due le ragioni: sono pronte a farlo e — in teoria — danno meno sospetti. Per confezionare gli ordigni usano materiale esplosivo che arriva dalla Siria oppure dalla rotta balcanica. Dal 2013, dopo l’azione kamikaze all’ambasciata Usa ad Ankara, sono aumentate le segnalazioni sulla presenza di centri d’addestramento sotto l’ala dei servizi segreti di Assad. Altri report suggeriscono viaggi verso punti d’appoggio nella zona di Atene e Salonicco. Sempre nel 2013 la polizia greca ha stroncato sull’isola di Chios un traffico d’armi in favore dei terroristi turchi.
A questo punto non è sbagliato attendersi una campagna prolungata. Come ha detto uno dei terroristi: «I fucili porteranno giustizia». Uno slogan che è una minaccia.
Guido Olimpio


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