I 12 cristiani uccisi dai musulmani Vertice su Triton: più poteri in mare
by redazione | 17 Aprile 2015 8:53
PALERMO L’orrore della guerra di religione fra cristiani e musulmani approda in Sicilia con un bastimento stracarico di migranti che si odiano al punto da essere diventati protagonisti durante la traversata di una furibonda rissa in alto mare, di un massacro. Con dodici ragazzi nigeriani e ghanesi «colpevoli» di essere cristiani, presi a calci e pugni da una quindicina di musulmani di nazionalità ivoriana, senegalese e della Guinea Bissau, spinti fra le onde del Mediterraneo. Forse, qualcuno già morto per le botte a bordo del gommone sul quale viaggiavano, ma quasi certamente altri lasciati annegare.
È la devastante immagine di una tragedia scoperta dalla polizia di Palermo che ha arrestato 15 dei 100 migranti approdati ieri, compreso un 17enne, diventati belve feroci per la disputa religiosa, stando a quanto rivelato dai cristiani poi salvati da un mercantile e scampati alla morte sul gommone tenendosi stretti, le braccia intrecciate, formando una catena opposta ai carnefici.
Una notte d’inferno quella di martedì nel racconto di Hamed, nigeriano: «Avevano deciso di eliminarci tutti, ci siamo difesi, ma tanti nostri fratelli sono caduti in mare…». Poi la denuncia ai funzionari del questore Guido Longo che per procedere ha ottenuto dal procuratore di Palermo Franco Lo Voi una richiesta al ministro della Giustizia. Autorizzazione firmata dopo poche ore, necessaria, come previsto dall’articolo 10 del codice penale, perché i fatti sono avvenuti in acque internazionali.
L’atroce immagine della guerra di religione, un altro cadavere recuperato dalla Finanza sotto Lampedusa e un bilancio di 900 vittime morte in quattro mesi si innestano sul picco di arrivi che allarma le prefetture. Migliaia di migranti sono ormai stipati in centri malamente attrezzati come la tensostruttura di Porto Empedocle o una affollatissima palestra di Reggio Calabria. Sindaci disperati e associazioni di volontari impegnate allo stremo. Con decine di imbarcazioni che continuano a muoversi alla ricerca di navi militari e mercantili allertati per telefono dagli stessi trafficanti di braccia umane. Una beffa in qualche caso seguita, come è accaduto la scorsa settimana, dalla caccia degli scafisti ai gommoni, per recuperarli dopo il trasbordo della loro «merce» su mercantili e mezzi militari. Anche a costo di esplodere raffiche di mitra. Con le motovedette italiane incerte sul da farsi. E proprio per chiarire meglio le cosiddette «regole di ingaggio» stamane si riunisce al Viminale un tavolo tecnico, al quale partecipa anche la Farnesina. Perché i militari italiani sappiano se e come usare le armi di cui dispongono e, soprattutto, per stabilire l’obbligo di fermare eventuali aggressori, anche se sostengono di essere militari.
Di questo si discute mentre scoppiano, da Trapani ad Augusta, le banchine di porti dove rimbalzano gli echi di una sciagura dopo l’altra. Quattro migranti sbarcati a Trapani fra i 586 di ieri mattina hanno raccontato di essere partiti in 45. Sarebbero 41 gli annegati di un naufragio di cui non si sapeva nulla.
Felice Cavallaro