Expo. Quei lavoratori dal varco abusivo
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Milano Gli abusivi non si arrampicano sul muro di cinta, non si infilano nei buchi, non si calano dall’alto dei camion: semplicemente, camminano. In massima sicurezza. A duecento metri di distanza da uno degli ingressi principali dell’Expo per i dipendenti dei cantieri, sottoposti a doppi e serrati controlli, c’è un cancello. All’inizio un filo di ferro lo tiene ancorato alla rete metallica. Con il passare dei minuti e degli ingressi il filo di ferro cade, viene lasciato a terra e si apre un varco che consentirebbe anche l’entrata di una motocicletta. Oppure, volendo e spostando senza fatica il cancello, perfino d’una macchina.
Le prime guardie delle società di sicurezza che hanno ricevuto da Expo l’affido della vigilanza, si posizionano intorno alle 7. Nell’arco del periodo che abbiamo esaminato (dalle 6 alle 7) è passata una camionetta dell’esercito. Poco è cambiato. Il varco, che introduce all’area dell’Esposizione universale ed è peraltro in una zona con un certo traffico di veicoli, è conosciuto e battuto. Gli abusivi ci arrivano direttamente. Senza nemmeno telefonare per avere indicazioni viabilistiche dai compagni che probabilmente li aspettano da dentro e che li avrebbero «convocati». Giorni feriali oppure domenica sarebbe uguale e nulla cambierebbe. Venerdì inizia l’esposizione, il tempo stringe. Va da sé che questo «fronte» del cancello, a metà strada tra la stazione ferroviaria e il carcere di Bollate, oltre a evidenziare la fragilità del sito dell’Expo nonostante le migliaia di rassicurazioni, racconta come si possa entrare e girare evitando i canali previsti dal regolamento. Fino ad adesso — si spera — dal cancello sarebbero transitati solo «innocui» operai, muratori, elettricisti. Italiani e stranieri. Bisogna capire se davvero è andata così, chi e come potrà dimostrare il contrario, chi sono gli abusivi e se questi abusivi potrebbero essere addirittura lavoratori «in nero». Un «nero» che potrebbe essere un «effetto collaterale» della catena di subappalti magari sconosciuti agli organizzatori dell’esposizione universale, invece «traditi» dai vincitori degli appalti.
Già si è polemizzato, per voce di altre società di sicurezza con importanti clienti, su quali garanzie possano fornire le aziende di vigilanza volute da Expo. L’aggiudicazione dei servizi — è l’accusa — sarebbe stata fatta al ribasso. E le aziende starebbero esternalizzando parecchi servizi. Con la scelta che andrebbe su altre ditte a volte ritenute «poco affidabili» dalle stesse nazioni «titolari» dei padiglioni stranieri (compresi Paesi di peso e di potere); e con i lavoratori delle ditte che non sempre risponderebbero ai requisiti necessari. Vero? Oppure sono voci maligne alimentate dalla concorrenza delusa per l’«esclusione»? Di vero c’è che da un lato ferma è la richiesta di «aiuti» da fuori, e testimonianza ne sono le molteplici riunioni in Prefettura con i vertici delle forze dell’ordine (lunedì scorso c’erano il capo della polizia e il comandante generale dei carabinieri); ma dall’altro lato, dall’interno, il sistema presenterebbe delle falle. Oggi, con probabilità, il varco «incriminato» sarà sigillato e finirà sotto «massima custodia». Verrà chiesto conto alla società di vigilanza responsabile del tratto. Però forse, lungo il consistente perimetro dell’Expo, potrebbero esserci altri passaggi nascosti.
La presenza del cancello degli abusivi è nota sin dall’arrivo dei lavoratori nella stazione ferroviaria. All’altezza degli ultimi binari, attraversando uno scalo già inaugurato ma che ancora necessita di interventi, si sbuca in superficie e ci si immette sulle strade che portano all’esposizione. I muri sono affollati di scritte contro l’Expo, i pali di bigliettini per affittare appartamenti nei dintorni. Incontriamo un ragazzo italiano, alto, con barbetta, e un altro ragazzo tunisino, magro. Il primo è più disponibile, il secondo ci mostra il tragitto per raggiungere il varco e una volta lì si raccomanda: «Fatti i c… tuoi, che qui lavoriamo in tanti». L’italiano racconta: «Ogni tanto mi chiama un amico. Io aggiusto i bagni, m’intendo anche di impianti elettrici. Se c’è bisogno, mi faccio trovare pronto. Pagano subito. E cosa faccio, butto via i soldi?». Non bastassero le testimonianze, le fotografie e i video, ci sarebbero alcune considerazioni da fare, dopo la premessa che tutti i lavoratori di Expo devono essere registrati e «monitorati» nei loro spostamenti. Difficile che gli abusivi entrino dal cancello per accorciare il cammino verso i cantieri: a duecento metri, come detto, c’è uno degli accessi regolari che all’alba — così era ieri — non hanno fastidiose code. Difficile che il varco non porti dentro l’Expo: altrimenti, se la zona è «neutra», quando si sono posizionate, le guardie non avrebbero allontanato tutti gli altri operai che tentavano l’«assalto». Difficile che gli abusivi si servano del cancello per prendersi un pausa caffè. Dal varco non abbiamo visto uscite ma esclusivamente entrate. E poi il bar è lontano, quantomeno a chiedere agli operai che ci conducono al «bar Expo 2015», gestito da cinesi.
Sulla vetrina c’è scritto che la domenica è chiuso: questa domenica è aperto, fuori si raggruppano lavoratori. Fumano, leggono la Gazzetta . Sembrano scene di una Milano antica, quella dei quartieri della Bovisa e della Bicocca, gli operai scaricati dai tram e dai treni, il ritrovo fuori dai bar per un goccino d’ordinanza, infine l’incolonnamento verso le fabbriche.
Le prime guardie delle società di sicurezza che hanno ricevuto da Expo l’affido della vigilanza, si posizionano intorno alle 7. Nell’arco del periodo che abbiamo esaminato (dalle 6 alle 7) è passata una camionetta dell’esercito. Poco è cambiato. Il varco, che introduce all’area dell’Esposizione universale ed è peraltro in una zona con un certo traffico di veicoli, è conosciuto e battuto. Gli abusivi ci arrivano direttamente. Senza nemmeno telefonare per avere indicazioni viabilistiche dai compagni che probabilmente li aspettano da dentro e che li avrebbero «convocati». Giorni feriali oppure domenica sarebbe uguale e nulla cambierebbe. Venerdì inizia l’esposizione, il tempo stringe. Va da sé che questo «fronte» del cancello, a metà strada tra la stazione ferroviaria e il carcere di Bollate, oltre a evidenziare la fragilità del sito dell’Expo nonostante le migliaia di rassicurazioni, racconta come si possa entrare e girare evitando i canali previsti dal regolamento. Fino ad adesso — si spera — dal cancello sarebbero transitati solo «innocui» operai, muratori, elettricisti. Italiani e stranieri. Bisogna capire se davvero è andata così, chi e come potrà dimostrare il contrario, chi sono gli abusivi e se questi abusivi potrebbero essere addirittura lavoratori «in nero». Un «nero» che potrebbe essere un «effetto collaterale» della catena di subappalti magari sconosciuti agli organizzatori dell’esposizione universale, invece «traditi» dai vincitori degli appalti.
Già si è polemizzato, per voce di altre società di sicurezza con importanti clienti, su quali garanzie possano fornire le aziende di vigilanza volute da Expo. L’aggiudicazione dei servizi — è l’accusa — sarebbe stata fatta al ribasso. E le aziende starebbero esternalizzando parecchi servizi. Con la scelta che andrebbe su altre ditte a volte ritenute «poco affidabili» dalle stesse nazioni «titolari» dei padiglioni stranieri (compresi Paesi di peso e di potere); e con i lavoratori delle ditte che non sempre risponderebbero ai requisiti necessari. Vero? Oppure sono voci maligne alimentate dalla concorrenza delusa per l’«esclusione»? Di vero c’è che da un lato ferma è la richiesta di «aiuti» da fuori, e testimonianza ne sono le molteplici riunioni in Prefettura con i vertici delle forze dell’ordine (lunedì scorso c’erano il capo della polizia e il comandante generale dei carabinieri); ma dall’altro lato, dall’interno, il sistema presenterebbe delle falle. Oggi, con probabilità, il varco «incriminato» sarà sigillato e finirà sotto «massima custodia». Verrà chiesto conto alla società di vigilanza responsabile del tratto. Però forse, lungo il consistente perimetro dell’Expo, potrebbero esserci altri passaggi nascosti.
La presenza del cancello degli abusivi è nota sin dall’arrivo dei lavoratori nella stazione ferroviaria. All’altezza degli ultimi binari, attraversando uno scalo già inaugurato ma che ancora necessita di interventi, si sbuca in superficie e ci si immette sulle strade che portano all’esposizione. I muri sono affollati di scritte contro l’Expo, i pali di bigliettini per affittare appartamenti nei dintorni. Incontriamo un ragazzo italiano, alto, con barbetta, e un altro ragazzo tunisino, magro. Il primo è più disponibile, il secondo ci mostra il tragitto per raggiungere il varco e una volta lì si raccomanda: «Fatti i c… tuoi, che qui lavoriamo in tanti». L’italiano racconta: «Ogni tanto mi chiama un amico. Io aggiusto i bagni, m’intendo anche di impianti elettrici. Se c’è bisogno, mi faccio trovare pronto. Pagano subito. E cosa faccio, butto via i soldi?». Non bastassero le testimonianze, le fotografie e i video, ci sarebbero alcune considerazioni da fare, dopo la premessa che tutti i lavoratori di Expo devono essere registrati e «monitorati» nei loro spostamenti. Difficile che gli abusivi entrino dal cancello per accorciare il cammino verso i cantieri: a duecento metri, come detto, c’è uno degli accessi regolari che all’alba — così era ieri — non hanno fastidiose code. Difficile che il varco non porti dentro l’Expo: altrimenti, se la zona è «neutra», quando si sono posizionate, le guardie non avrebbero allontanato tutti gli altri operai che tentavano l’«assalto». Difficile che gli abusivi si servano del cancello per prendersi un pausa caffè. Dal varco non abbiamo visto uscite ma esclusivamente entrate. E poi il bar è lontano, quantomeno a chiedere agli operai che ci conducono al «bar Expo 2015», gestito da cinesi.
Sulla vetrina c’è scritto che la domenica è chiuso: questa domenica è aperto, fuori si raggruppano lavoratori. Fumano, leggono la Gazzetta . Sembrano scene di una Milano antica, quella dei quartieri della Bovisa e della Bicocca, gli operai scaricati dai tram e dai treni, il ritrovo fuori dai bar per un goccino d’ordinanza, infine l’incolonnamento verso le fabbriche.
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