Democrazia Italicum, prendere o lasciare
La fiducia come rivendicazione: «È arrivato il momento di fare sul serio». Ma la fiducia anche come scelta tattica. I primi voti sull’Italicum avrebbero dovuto rassicurare Matteo Renzi. Meglio lo scrutinio segreto che quello palese. Le pregiudiziali superate con 175 e 177 voti di margine, la questione sospensiva con 163. Numeri che garantivano una relativa tranquillità. Alla maggioranza sono mancati non più di una ventina di voti, per rischiare di andar sotto sugli emendamenti avrebbe dovuto perderne quattro volte tanti. Eppure Renzi al voto sugli emendamenti non ci vuole andare. Non ammette la possibilità che venga modificata la legge elettorale, cristallizzata tre mesi fa al senato nell’ultimo atto del patto del Nazareno. Il passaggio — definitivo — alla camera può essere solo un prendere o lasciare. In commissione, deputati dissidenti sostituiti. In aula, emendamenti cancellati con la fiducia. «Non c’è cosa più democratica», dice a sera il presidente del Consiglio in televisione. O con me o contro di me.
Il rischio di essere battuto nel voto segreto era basso, molto basso, ma non inesistente. Dei cento emendamenti, quindici erano quelli potenzialmente pericolosi perché firmati dalle minoranze Pd. Proponevano di cancellare le pluricandidature, introdurre le primarie per legge, prevedere un quorum minimo di partecipanti per assegnare il premio al ballottaggio, limitare la quota dei nominati rispetto agli eletti con le preferenze, sottrarre ai pluri-eletti la possibilità di scegliere per quale collegio optare, abolire l’indicazione del capo della coalizione. Ma erano soprattutto due quelli che preoccupavano il presidente del Consiglio e le sue sentinelle alla camera. Uno firmato da Rosy Bindi con il quale si sarebbe ripristinata la possibilità di apparentamento al secondo turno, un altro firmato da Alfredo D’Attorre con il quale si legava l’entrata in vigore dell’Italicum all’approvazione della riforma costituzionale. Emendamenti simili erano stati presentati anche dai leghisti e dai forzisti, ed erano queste la posizione originarie delle liste centriste alleate del premier. Renzi ha deciso di non rischiare. Affronterà un solo voto segreto, l’unico che non può proprio evitare, che però è il meno insidioso in assoluto. Se far passare un emendamento avrebbe infatti significato far tornare al senato una legge che in fondo non è urgentissima — non sarà utilizzabile prima della fine dell’anno prossimo — dire no all’ultimo passaggio significherebbe uccidere per sempre l’Italicum. E con l’Italicum il governo. Anche l’ultimo voto, rinviato a maggio, sarà un voto di fiducia.
La presidente della camera aveva avvertito già da qualche giorno i gruppi che l’eventuale richiesta di fiducia sarebbe stata dichiarata ammissibile. Facendola cioè prevalere sul diritto della minoranza a chiedere il voto segreto sulla legge elettorale. Boldrini, in un’aula immediatamente accesa dalle proteste, ha risolto la questione spiegando che anche la soluzione opposta, cioè escludere la fiducia quando è possibile lo scrutinio segreto, «può avere una sua logica». Ma perché sia praticabile, ha deciso, bisognerà aspettare che venga modificato il regolamento. E allora i voti segreti sull’Italicum saranno tre, uno per ogni articolo che compone la legge con l’eccezione dell’articolo 3. La spiegazione è semplice: su quell’articolo non ci sono emendamenti.
Ammessa la fiducia, la presidenza della camera ha concesso un contentino alle minoranze che somiglia molto alla classica beffa. Il «lodo Iotti», con il quale dal 1980 viene lasciata la possibilità ai presentatori degli emendamenti e solo a loro di illustrare (per 30 minuti) le proposte di modifica, anche sapendo che non saranno messe in votazione proprio perché è stata chiesta la fiducia. In questo caso è una beffa, perché abitualmente l’unico obiettivo degli interventi a vuoto è quello di allungare i tempi dell’approvazione finale della legge. Il «lodo» è stato appunto inventato durante la conversione di un decreto legge, e da allora ha rappresentato lo scotto da pagare per un governo che chiede subito la fiducia perché ha un decreto che rischia di scadere. L’Italicum non è un decreto ed è urgente solo perché così lo presenta Renzi. Ieri pomeriggio, dopo i primi interventi, le opposizioni hanno capito l’inutilità di intervenire su emendamenti che il governo non farà votare. E la seduta della camera di questa mattina è stata addirittura cancellata. Si parte subito con il primo referendum sul governo, alle 13.45, poi nel pomeriggio gli altri due. Sì o no, «non c’è cosa più democratica».
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